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Incontro con i personaggi: proiezioni (1)

«Ecco a te il tuo cappuccino» la barista mi sorrise, dette uno sguardo veloce al mio disegno e tornò al bancone per servire gli altri clienti.

Risposi al suo sorriso «Grazie» e continuai la mia opera. Ero così concentrata che tutto intorno a me svaniva.

L’atmosfera calda e accogliente del bar Fantasy è sempre di grande ispirazione per la mia creatività. Ne approfitto volentieri quando voglio creare qualcosa, ma non ho la giusta spinta motivazionale per farlo. È un luogo magico per me. Probabilmente voi lo vedreste come un normalissimo locale, invece per me rappresenta tanti momenti significativi della mia vita.

«Sapevo che ti avrei trovato qui».

Alzai appena lo sguardo, convinta che chi aveva parlato non si stesse rivolgendo a me. Lì non conosco nessuno. Sono affascinata dalla magia dei ricordi che il posto mi riporta alla mente, ma non ho amici che lo frequentino.

Notai una figura femminile avvicinarsi sempre di più al mio tavolo, quindi la guardai in faccia. Ero a disagio. Non riuscii a riconoscerla immediatamente, mi ci volle un po’ di tempo per ricordare.

«Tu sei…»

«Yvonne» la ragazza, decisamente più giovane di me, sorrise imbarazzata «Non ti ricordi?».

Mi scappò un risolino nervoso «Mi prendi in giro?»

«Guardami».

La osservai attentamente. Aveva capelli corti, che andavano appena sotto le orecchie. Una ciocca davanti era stata legata in una piccola treccia. Aveva un viso tondo e un po’ troppo magro, un naso piccolo e leggermente schiacciato all’insù. I suoi occhi erano castano chiaro e spenti. Trasmettevano una tristezza incredibile.

«Vuoi sederti?» le chiesi impacciata. Ero un po’ stranita dalla sua presenza, ma cercai di mantenere la calma.

Lei mi ringraziò e prese posto proprio davanti a me al piccolo tavolo. Di solito mi siedo in fondo alla sala. Mi fa sentire più a mio agio, perché è molto più improbabile che qualcuno mi si avvicini per rompermi le scatole.

«Continua pure a fare quello che stavi facendo» mi disse lei «Non volevo turbarti».

«Okay».

Rimasi in sospeso per un attimo, fissando la mia interlocutrice e strizzando leggermente gli occhi. Ancora non capivo se quello che avevo davanti era reale. Ovviamente non riuscii a tornare a disegnare.

«Posso chiederti… che ci fai qui?».

Yvonne abbassò lo sguardo per un attimo. Questa sua reazione mi fece capire che forse non ero pazza. Lei era davvero lì.

«Sono solo passata a salutarti. So che ogni tanto vieni qui in cerca di ispirazione e…» si bloccò guardandomi.

«Capisco» risposi «Ma tu non dovresti essere… nel libro?»

«Ah sì. Giusto. Intendi Il richiamo di Morfeo. Già» cominciò a picchiettare le dita sul tavolo «In realtà dovrei essere lì, ma tu mi hai chiamata qui».

«Io?» la confusione nella mia testa non faceva che aumentare.

«Io ho solo risposto al tuo richiamo. Eccomi, sono qui. Ho portato pure Colin con me. Al momento sta ordinando da bere»

«Colin?» girai la testa verso il bancone.

Intravidi un ragazzo biondo con i capelli a caschetto e degli occhi azzurri scuri che brillavano a contatto con la luce della portafinestra. Stava chiacchierando amichevolmente con la barista, probabilmente aveva appena fatto una battuta divertente, perché quest’ultima rise di gusto.

«Lo sai. A me in genere non piace molto chiacchierare. Lui invece era davvero emozionato all’idea di incontrarti. Non so se te l’ho mai presentato».

“Accidenti. La vostra storia l’ho scritta io!” pensai. Mi accorsi solo in quel momento che il mio cuore stava palpitando. Mi riposizionai un poco sulla sedia, nella speranza di distendere la tensione. Proprio in quel momento lanciai uno sguardo all’entrata del bar e notai un uomo piuttosto alto entrare. Attirò subito la mia attenzione, perché portava i capelli castani legati in una coda di cavallo ed era vestito come se avesse partecipato da poco a una sfilata medievale. Fu quando incrociò il mio sguardo che mi resi conto che mi conosceva e soprattutto che io conoscevo lui.

Nel frattempo Colin si era avvicinato al tavolo con un ampio sorriso.

«Ciao Maggie! È un piacere fare la tua conoscenza».

Aveva portato al tavolo due cioccolate calde con panna.

«Ciao» risposi, lanciando ogni tanto qualche occhiata all’altro individuo, che si stava avvicinando un po’ troppo al mio tavolo.

«Voi sapete vero che la vostra storia l’ho scritta io?» chiesi loro. Non capivo come potessero sorridermi quando Il richiamo di Morfeo era un vero casino.

«Lo sappiamo, certo» rispose Ivonne.

«Quindi saprete anche come finisce, no?».

I due annuirono.

«Noi non siamo esattamente quegli Yvonne e Colin. Siamo una sorta di proiezione. Non so come spiegarti» aggiunse Colin «Hai presente i quadri dei presidi di Hogwarts? Qualcosa di simile».

Da quella battuta riconobbi immediatamente lo spirito che avevo cercato di infondere nel personaggio di Colin. Guardandolo negli occhi mi tranquillizzai e cominciai a sentirmi un po’ più a mio agio.

«Qualcosa di rappresentativo, intendi?»

«Esattamente» i suoi occhi si socchiusero accompagnando il sorriso.

Lanciai l’ennesima occhiata al bancone e mi accorsi che l’uomo in cosplay stava aspettando la sua ordinazione.

«Voi conoscete quel tipo?» chiesi guardando prima Yvonne e poi Colin.

«Chi, quello lì con la barba grigia che somiglia a Gandalf?» chiese Colin.

«Non lui. Quello più alto, con il codino».

Il ragazzo piegò le labbra nella tipica espressione di chi non ha idea di quello a cui ti stai riferendo.

Yvonne da parte sua non rispose, ma era ovvio che nemmeno lei conoscesse quel tizio «Perché?» mi chiese.

«Credo di averlo già visto. Prima mi ha salutato con lo sguardo e ho paura di fare una figuraccia».

«Non starà facendo il cosplay di Pirati dei Caraibi, vero?» scherzò Colin.

«Pirati dei Caraibi, ma che stai dicendo?» lo rimbeccò la compagna.

«James Norrington… Non ti dice niente?»

«Scherzi, vero? Gli manca la parrucca»

«Non quello del primo film. Il secondo» Colin iniziò a gesticolare verso l’uomo al bancone come per evidenziare l’ovvietà della cosa.

Yvonne dovette osservarlo per un minuto prima di capire.

«Accidenti. Hai ragione. Gli manca la barba, ma per il resto è proprio lui».

«State delirando» aggiunsi io, con un sorriso imbarazzato appiccicato sulla bocca.

«Discutere di cinema non è mai un delirio» Colin rispose con un tono fintamente serio.

«Se proprio vogliamo discutere di cinema parliamo di Orson Welles, già che ci siamo».

Colin mi guardò storto «Se quel tizio assomigliasse a Charles Foster Kane avrei citato Quarto potere. Non era questo il caso».

«Sì certo, hai ragione. Era una battuta da esaurita. Non ci sto capendo più nulla» conclusi io e appoggiai la testa su una mano.

Yvonne rivolse la sua attenzione a me e allungò una mano per consolarmi. «La cioccolata è ottima» disse, leccandosi i baffi.

Una volta ritirata la sua birra e un muffin con gocce di cioccolato, l’uomo si avvicinò velocemente al tavolino.

«C’è ancora posto?» chiese.

“Questo si è autoinvitato, non ci credo”. Gli mostrai l’unica sedia ancora libera, dalla parte opposta del tavolo e lui ci si sedette. Era un uomo alto ma piuttosto esile. Nonostante ciò appariva affascinante con il suo volto allungato, gli occhi profondi e infine delle mani molto belle.

L’uomo si rivolse ai ragazzi «È un piacere fare la vostra conoscenza. Mi chiamo Astolfo».

I miei occhi si illuminarono. Ecco dove l’avevo già visto.

Presentandosi fece anche un baciamano a Yvonne. Lo sguardo di Colin in quel momento valeva più di mille parole. Poi si girò verso di me.

«Ho incrociato David per strada. Al momento è impegnato e non sa se riuscirà a venire a trovarti oggi».

«Tu hai incontrato… David?».

Astolfo annuì ed espose un grande sorriso. «Come stai fanciulla?»

«Io… bè… Sono giusto un poco confusa» risi.

«Tu vieni da uno dei suoi libri?» gli chiese Yvonne.

«Proprio così. Sono Astolfo di Arna, de Il venditor di parole».

Colin cominciò a fare una serie di domande al nuovo arrivato riguardo al paese da dove proveniva. Mi fece scoppiare a ridere quando gli chiese se era finalmente riuscito a catturare Jack Sparrow e lui non capendo si rivolse a me cercando risposte.

«Lascialo perdere. È un cretino» sentenziò Yvonne.

Io cercai di confortarlo appoggiando una mano sulla sua spalla.

«Che cos’è?» mi chiese indicando il mio disegno.

Io, che mi ero completamente dimenticata del lavoro che stavo portando avanti, coprii il disegno con le mani. «Solo un disegno… un lavoretto che stavo facendo prima di scoprire di essere così popolare».

«Perché lo copri?».

Quella domanda mi imbarazzò molto. Probabilmente arrossii. Non mi piace che gli altri vedano i miei lavori in corso d’opera. Perciò chiusi il blocco degli schizzi e lo riposi nella borsa.

«Sono solo degli schizzi».

«Lo siamo anche noi, eppure eccoci qua. Non sei soddisfatta del tuo operato?» continuò Astolfo.

«In effetti… un po’ lo sono» risposi. Non mi andava di dire che le loro storie non mi avevano mai convinta del tutto. Però aveva ragione: sicuramente i miei schizzi letterari erano migliori di quelli dei miei disegni.

«Solo un po’?» mi riprese Colin. Corrucciò la fronte, fingendosi offeso.

Io risi di nuovo. La loro compagnia iniziava a farmi piacere. Mancavano un po’ di persone all’appello. Ma solo di una mi importava davvero in quel momento.

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