Ho avuto la possibilità di intervistare l'autore di Devora, Franco Buso. Ne sono davvero felice, soprattutto perché ha risposto in modo esaustivo alle mie domande. Si è dimostrato una persona disponibile e molto interessante. Credo che Devora sia uno dei libri più belli che ho recensito fino a ora, perciò considero una vittoria personale il fatto di aver potuto intervistarne il creatore, rivelando il fascino di quello che è stato il dietro le quinte del libro.
Andando a ritroso, qual è il primo ricordo che le torna in mente quando pensa alla sua carriera di scrittore?
Parlare di “carriera di scrittore” nel mio caso è lusinghiero e beneaugurante, ma forse un tantino esagerato: Devora è il mio primo – e per ora unico – romanzo. Precedentemente avevo scritto alcuni racconti che vanno, circa, dalle 1.300 parole alle 11.500, e mai pubblicati. Il ricordo più lontano direi che si riferisce proprio al primo di questi racconti, scritto nel 1979 al ritorno da un viaggio nel Regno Unito e che prende spunto dal sito megalitico di Stonehenge. Nelle intenzioni non voleva essere nemmeno un vero racconto: era semplicemente parte di un collage di giochi, con qualche pretesa vagamente intellettuale, che organizzavamo tra amici. In quella piccolissima cerchia ristretta aveva avuto un successo inaspettato, ma in tutta onestà allora non immaginavo affatto che ci sarebbe stato un seguito.
Quali sono le opere che l’hanno più influenzata come scrittore, sia stilisticamente, che affettivamente?
Questa è una domandona, si potrebbe parlarne per ore… Non c’è un’opera precisa che mi abbia influenzato, non consciamente, perlomeno. Ricordo che ero rimasto affascinato da Il nome della rosa, tanto che pensavo che dopo di quello qualsiasi altro romanzo mi sarebbe apparso deludente. Più che le singole opere in sé, forse ho preso a modello gli autori. Mi piace lo stile fluido e scorrevole dei nordamericani (Stephen King, John Grisham, Jeffery Deaver, per fare qualche esempio). Oppure la scrittura schietta e limpida di Isabel Allende, in quelle sue atmosfere un po’ magiche e favolistiche; o Gabriel Garcia Marquez, restando in Sudamerica. Apprezzo – e un po’ invidio – la bravura e la precisione nel documentarsi di Ken Follett nelle sue straordinarie opere a sfondo storico. Per venire da noi in Italia, ho amato molto La lunga attesa dell’angelo di Melania Mazzucco. L’ho trovato un romanzo coinvolgente e appassionante. È bravissima e di lei al momento mi vengono in mente anche Il bacio della medusa, Vita, Un giorno perfetto. Ecco, io forse ho cercato di prendere qualcosa da ognuno di questi scrittori e da altri che non ho citato per motivi di spazio. Mi illudo di esserci un po’ riuscito, ma non ne sono per niente sicuro…
Qual è stata la scintilla che l’ha spinta a scrivere sul serio, che l’ha fatta innamorare della scrittura?
Nessuna scintilla che abbia provocato incendi. Una piccola curiosità: alle medie inferiori e poi fino a metà liceo i miei voti nei temi di italiano non superavano la sufficienza e spesso ne erano al di sotto. Poi una scintilla ci fu, quella sì! Dopo l’ennesimo voto negativo, cominciai a capire che il vero problema stava nel mio modo di scrivere troppo artificioso, più finalizzato a uno stile ricercato – o presunto tale – che a catturare l’interesse del lettore. Di conseguenza lo scritto risultava ampolloso e involuto, perciò noioso e pesante da leggere. Nel successivo compito di italiano decisi di adottare, a titolo di esperimento, uno stile “giornalistico”, asciutto ed essenziale. Per la prima volta ebbi un 7. In una classe dove il massimo dei voti era 8, era stato un successo, e in seguito arrivarono perfino gli 8. E non solo: se prima consideravo lo scrivere un’incombenza tediosa, da quel momento era diventato un piacere: il piacere di raccontare qualche cosa e non l’impegno di costruire frasi forzate fine a sé stesse.
Prima di Devora ci sono stati altri racconti, scritti da lei, che l’hanno coinvolta particolarmente?
Mentre si scrive un racconto, anche il più frivolo, si è sempre coinvolti, almeno in quel momento. Di quelli che ho scritto alcuni avevano note autobiografiche, altri mi erano stati “suggeriti” da vicende di persone che conoscevo e altri ancora erano pura invenzione. A distanza di tempo mi è capitato di rileggerli con piacere. A me sembrano carini, come lo sono sembrati alle poche persone che li hanno letti. Ma, come coinvolgimento personale, con Devora non ci sono paragoni.
È stato condizionato dal suo percorso di studi, durante la sua carriera d’autore?
È stato condizionato dal suo percorso di studi, durante la sua carriera d’autore? Leggendo Devora si percepisce una grande passione per la Storia.
Leggendo Devora si percepisce una grande passione per la Storia.Leggendo Devora si percepisce una grande passione per la Storia.
Io ho una maturità classica e sicuramente questo è stato un elemento influente, anche se in tutta onestà devo ammettere che non ero uno studente modello. Galleggiavo in una sorta di aurea mediocritas mirando al massimo risultato col minimo sforzo. Ma negli anni successivi quel percorso di studi un risultato è riuscito a ottenerlo: l’amore crescente per la letteratura, per la filosofia, soprattutto greca, per la cultura in generale e per la storia in particolare.
Perché proprio questa ambientazione? Perché l’epoca dei templari?
L’epoca dei Templari non è stata né casuale né ricercata. Come si legge nella quarta di copertina del libro l’ispirazione è nata dalla tesi di laurea in giurisprudenza di mia figlia Irene che analizza da un punto di vista giuridico il processo all’ultimo Maestro dei Templari, Jacques de Molay. Mi era sembrata un’ottima idea per un racconto breve come quelli che avevo già scritto, solo che poi si è sviluppata da sé diventando un romanzo.
L’idea della protagonista che viaggia nella nostra Storia mi è capitato di ritrovarla in altri romanzi per ragazzi. Ha avuto un’ispirazione particolare, o è capitata così, all’improvviso?
Devo ammettere che non mi vengono in mente romanzi o racconti in cui una protagonista viaggia nella storia. Io non ho avuto nessuna ispirazione particolare in questo senso e non c’è stata nessuna lampadina accesa all’improvviso: quando mi è stato chiaro – a romanzo già iniziato – che la protagonista avrebbe dovuto percorrere un lunghissimo periodo temporale, ho cercato un modo quanto meno plausibile per narrarlo, pur dovendo necessariamente ricorrere a poteri occulti.
L’idea iniziale per il suo romanzo Devora, qual era e come è andata evolvendosi la storia, mentre la scriveva?
Lo spunto iniziale è stato quello di dar voce alla leggenda popolare sulle profezie che sarebbero state pronunciate da Jacques de Molay in punto di morte e di raccontare a mano a mano come si sarebbero avverate: questo era il filo conduttore della storia che avevo in testa, ma non avevo ancora nessuna idea di come collegare fra loro i puntini di questa specie di gioco enigmistico. Ho cominciato a scrivere pensando a un racconto di poche pagine, spesso non sapendo nemmeno cosa sarebbe successo nella pagina successiva. Poi, tra momenti di buio e improvvise illuminazioni, le pagine sono diventate abbastanza per poter diventare un romanzo, che, di fatto, in buona parte si è scritto da solo.
Si vede che è particolarmente affezionato alle protagoniste, Miriam e Devora. Mi piacerebbe sapere come le ha pensate, come loro creatore, e se crede di averle descritte esattamente come le aveva in testa, oppure diversamente da come si aspettava.
Miriam e Devora per me sono due figlie adottive. Non sono state “pensate” prima. Miriam inizialmente avrebbe dovuto essere quasi una meteora, per catapultare Devora nelle vicende successive, come personaggio centrale. Poi le cose sono andate diversamente: Miriam ha occupato un grande spazio nel romanzo, e Devora un grande spazio nel tempo. Entrambe hanno sviluppato le loro personalità per conto proprio, senza alcuna mia idea preconfezionata: io le ho solo viste crescere come un genitore vede crescere un figlio. E a posteriori – perdonatemi questa debolezza – non cambierei una virgola di come le ho descritte e non mi sarei mai aspettato di amarle così tanto.
Sono interessata a sapere secondo lei quali sono i punti di forza del suo libro e i suoi punti deboli. Che cosa la soddisfa e cosa secondo lei poteva essere scritto meglio?
I punti di forza, come i punti deboli, non starebbe a me dirli, bensì al lettore. Io ho puntato molto sui personaggi femminili: forse era rischioso, perché nell’immaginario collettivo gli eroi sono quasi sempre maschili. Ma io ho troppa stima, considerazione e rispetto per le donne per non vederle come protagoniste assolute della nostra vita. Dai graditi consensi ricevuti direi che è stata apprezzata anche la scorrevolezza della narrazione e il coinvolgimento nella sua trama. Come punti deboli c’è stata qualche imprecisione storica: io sono un appassionato di storia, ma non sono uno storico. Se c’è stato qualche errore fate finta di niente, lasciatevi prendere dalle vicende di Miriam e Devora.
Come autore, si è trovato in difficoltà nella ricerca di una casa editrice per il suo libro? Quanto tempo le ha richiesto?
Questo è stato un grosso problema. Alcune case editrici erano disposte a pubblicarmi affermando di aver valutato positivamente il mio lavoro, a volte lusingandomi anche troppo e stendendomi tappeti rossi, sapendo di far leva sulla naturale vanità di uno scrittore esordiente. Peccato che in cambio chiedessero da parte mia l’acquisto di uno cospicuo numero di copie del libro – tanto da far quadrare i loro conti – e pretendessero la totale acquisizione di tutti i diritti sul romanzo. Per fortuna non ci sono cascato e ho continuato a propormi anche ad agenzie letterarie, finché, quasi un anno dopo, mi sono imbattuto in Scrittura a tutto tondo che mi ha fatto scoprire la possibilità dell’autopubblicazione. Alla fine i costi non sono stati superiori a quelli dei cosiddetti editori a pagamento, e comprendevano pure un professionale e prezioso lavoro di editing; e soprattutto i diritti sull’opera restano di mia esclusiva proprietà. Dico ciò a beneficio di eventuali aspiranti o esordienti scrittori che leggono queste righe.
Lei si rispecchia in modo peculiare in uno dei personaggi di Devora?
Direi di no. Non c’è nessun personaggio che potrebbe essere un mio alter ego. Ma di sicuro mi rispecchio un po’ in tutto il romanzo in generale: nella descrizione che faccio dei diversi personaggi – reali o di fantasia – nelle riflessioni che attribuisco loro, nelle parole che metto loro in bocca nei vari dialoghi, nel giudizio che traspare tra le righe di fronte a certi eventi. Ma questo penso che sia normale per qualunque scrittore.
In futuro ha già in progetto di scrivere altri libri, magari thriller storici?
Mi piacerebbe molto. Per ora sono qui che aspetto la prossima idea illuminante!
Lei riuscirebbe a rispondere alla domanda: Perché scrive?
Temo di essere banale: perché mi piace! Va bene, aggiungiamoci qualche cosa: mi piace raccontare delle storie e sapere che a qualcuno sono piaciute.
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