La Congrega di Sweetheart
Attraverso l'arco di pietra grigio, l'unica breccia nel muro di cinta, sbircio in direzione del colonnato, non c'è un'anima viva; mi sporgo oltre le colonne rosse, per ammirare il giardino, che riempie il chiostro. Un'edera verde brillante risale verso i tetti spioventi, fiori profumati e pieni di colore si stagliano negli angoli, in cespugli ben curati dalla forma sferica.
Finalmente la intravedo, la donna che cerco è lì, intenta a potare, con delicatezza, lo stello di un cardo. Nonostante siano passati più di dieci anni, veste ancora in lutto: l'abito nero che le fasce il corpo è sobrio, perfino il collo è celato da un colletto alto, non vi sono pizzi o merletti, il volto è nascosto dalla barbette e un velo, in tinta con l'abito. L'unica cosa che spicca, su quel corpo da settantenne in forma, è la cintura ferma sui fianchi, a essa è agganciato un piccolo scrigno, in argento e avorio. Mi porto le mani alla bocca, per cercare di attutire il sussulto prodotto, mai avrei immaginato di vedere quello scrigno, con i miei occhi. «Lady», bisbiglio avvicinandomi con riverenza, mi schiarisco la voce con un colpo di tosse, «Mi scusi, Lady Dervorguilla» dico timorosa. Lei si volta e, automaticamente, abbasso lo sguardo sul prato verde, «Salve», la sua voce è pacata, faccio un inchino e aspetto, «Alzati ragazza», aggiunge allungandomi la mano, l'accetto e, alzando lo sguardo, noto che ha sollevato il velo, «Come posso aiutarti?», chiede sorridendo.
«Lady Dervorguilla, spero di non recarle disturbo», esclamo impacciata, «Io ho sentito delle voci... », inaspettatamente mi prende sottobraccio, guidandomi in giro per il chiostro, ripercorriamo il perimetro interno con passo leggero, «Ma non so effettivamente...». «Ragazza», m'interrompe, «Capisco l'agitazione, ma inizia col presentarti». «Mi scusi», ribatto mortificata fermandomi di scatto, «Sono Aselma Craig», mi piego nuovamente in un inchino profondo, «Vengo da Carsphairn», concludo rimettendomi in posizione eretta. Lei, di tutta risposta mi riprende nuovamente il braccio e ricominciamo a camminare, lentamente, assaporando ogni profumo proveniente dai cespugli. «Aselma, che bel nome», esclama divertita, «I tuoi genitori sono convinti che tu sia forte come la roccia», mi sorride, «Ora dimmi: Che voci hai sentito?», domanda inclinando il capo di lato. «Le voci dicono che», il tono della mia voce diventa quasi un sussurro, «Lei abbia fondato un concilio, che aiuta le persone». «Certo mia cara», m'interrompe nuovamente, «Ti daremo subito qualcosa da mangiare, poi penseremo a trovarti una sistemazione», dice facendo retro front, in direzione dell'entrata all'Abbazia. «No», mi affretto a balbettare, «Il suo concilio per...», non trovo le parole giuste, «Per quelli come me», bisbiglio timorosa. Si arresta di scatto, sembra non capire, mi rivolge uno sguardo dubbioso e, improvvisamente, il mio cuore comincia ad accelerare.
E se avessi sbagliato persona? Se fosse un controllore?
Rabbrividisco al solo pensiero.
«Mi scusi», incalzo impanicata, «Non dovevo disturbarla», prova ad allontanarmi da lei, il mio corpo sembra immobilizzato, quasi intorpidito.
Lo sapevo! Ci ho messo entrambe in pericolo.
«Spiegati, cosa intendi?», domanda pacata muovendo, in modo circolare, la mano libera. Deglutisco, «Nulla», balbetto, «Penso di aver sbagliato posto, Lady». Arresta il movimento di mano, mi ritrovo con il sedere sul prato verde e le gambe addormentate, «Non mentire», dice accovacciandosi per guardarmi dritta negli occhi, «Chi ti manda?», il suo sguardo si fa minaccioso. Provo a risvegliare le gambe pizzicandole, il cuore galoppa e un sudore anomalo, mi fa rabbrividire. «Nessuno, glielo giuro», provo a controllare la mia ansia, «È stata una mia idea», il nervosismo mi rende loquace, «Mi perdoni», mi copro il viso con le mani. Non posso crollare, se non per me devo farlo per Leto. Prendo un profondo respiro e torno a guardarla, si è rimessa in piedi, mi fissa sconcertata, scrutando la situazione intorno a noi. «Cosa sei tu?», chiede sventolando la mano, è una danza specifica che conosco, il mio corpo inizia a levitare, torna anche la sensibilità alle gambe. «Lady Dervorguilla, sono mortificata. Io sono solo un essere umano...», queste ultime parole riportano a galla brutti ricordi, cerco di ricacciare indietro le lacrime, mentre mi adagia, dolcemente, sul muretto alle nostre spalle. «Allora perché hai detto: Quelli come me?», continua insistente. Prendo coraggio, insieme a un lungo respiro, «Io sono un essere umano sbagliato», dico avvampando, sembra non capire, «Secondo la mia famiglia sono maledetta», la voce inizia a tremare, estraggo dalla sacca di tela beige, un panno di pelle nera, chiuso come fosse un libro, grazie a una serie di cordini intrecciati. «Qualche anno fa», dico sciogliendo un'estremità del cordino, «Ero a New Abbay e ho conosciuto Leto», raccolgo un disegno a carboncino che la ritrae e glielo mostro, «Ma lei è dovuta tornare a casa», la voce si spezza.
Io e la mia maledetta boccaccia. Perché sto parlando a ruota libera?
La donna anziana si accomoda al mio fianco e mi restituisce il foglio, «Mi spiace», sospira, «Dopo l'assassinio di John sono diventata troppo sospettosa», scuote il capo, «Aselma scusami», aggiunge prendendomi una mano tra le sue. «Quindi lei è davvero Lady Dervorguilla, del Concilio di Sweetheart?», chiedo speranzosa. Scoppia in una fragorosa risata, sono davvero confusa, «Sì, sono io», risponde cercando di trattenere le risa, «Ma questo non è davvero un concilio», si alza e distende le pieghe del suo vestito, senza toccarlo, «Secondo i pagani originali, noi non possiamo essere un concilio, poiché non seguiamo le regole religiose del sottosuolo», mi guarda storcendo il naso, «Ci definiscono Congrega e va bene così, non vogliamo avere a che fare con le loro regole barbare e retrograde», mi squadra da capo a piedi, «Ma torniamo a te. Cosa vorresti?». «Io», rispondo con voce tremante, «Vorrei che portasse Leto in superficie», dico tutto d'un fiato. «E se volesse restare nel sottosuolo?», domanda con sguardo accusatorio, di tutta risposta le porgo la rilegatura in pelle. «Qui ci sono tutte le lettere, che ci siamo scambiate in questi anni», lo raccoglie e ne estrae i primi fogli. «Come ve le scambiate?», chiede esaminando gli scritti. «C'è un contrabbandiere, una volta al mese ci diamo appuntamento al lago Carsfad», bisbiglio. «Ardon è un contrabbandiere per bene», dice sfogliando le lettere, «Perché le hai tu?», domanda riponendole con cura. «Per non darle problemi», cinguetto, «Lei sa come la pensano su quelli come noi», aggiungo schiarendomi la voce. Muove la testa su e giù «Sì, abbiamo capito che il Concilio Supremo non cambierà mai idea», sospira restituendomi la custodia di pelle. «Andiamo, parliamone davanti a un bel boccale» mi offre nuovamente il braccio, facendomi l'occhiolino, «I monaci fanno un ottimo vino di more». Accetto e, sottobraccio, lasciamo il chiostro, per rifugiarci all'interno dell'Abbazia.
A passo svelto, raggiungiamo quella che sembra una biblioteca, non ho mai visto così tanti libri in vita mia. «Torno subito», e così dicendo, mi lascia sola, lì impalata come un idiota, al suo rientro ha con sé un vassoio, mi guarda di sottecchi, «Accomodati», dice spostando una sedia con il solo movimento di un dito, faccio come suggerito, poggia dinanzi a me il vassoio con dei shortbread, il mio stomaco prende a brontolare, «Serviti», mi avvicina il piattino, porgendomi un boccale pieno. La ringrazio e ne approfitto per placare i morsi della fame.
«Ho mandato una squadra di recupero a cercare Leto», dice prendendo posto di fronte a me, «Torneranno al tramonto». Le sorrido goffamente, con la bocca piena di biscotti, li mando giù con un po' di vino, il connubio perfetto quello tra l'acidità delle more e la granella di zucchero; «Grazie», dichiaro felicemente sorpresa. «Aselma», dice richiamando la mia attenzione, «Hai detto che per i tuoi sei maledetta», muovo il capo per accennare un sì, «Perché?». Bevo un sorso così lungo, da svuotare il boccale, «Hanno trovato la corrispondenza con Leto», inizio, cercando di tenere a freno le emozioni che si sovrappongono all'interno del mio petto, «Dicono che lei è una strega, che mi ha maledetta e quindi brucerò all'inferno», mi torturo le mani arrossendo. Ho parafrasato le loro orrende parole, mi hanno paragonata a quegli stracci luridi che vengono usati nei bagni delle taverne. «Ci credi?», chiede rabboccando il mio boccale, «Brucerai all'inferno solo perché ami una donna?», questa volta muovo il capo per mimare un no. «Se il loro Dio, è così benevolo e misericordioso, perché dovrebbe odiare l'amore?», mando giù un altro sorso di vino, lei ride sotto i baffi.
Cerca di tenermi occupata, mi chiede del mio viaggio da Carsphairn, la mia storia, il primo incontro con Leto. D'un tratto il sole inizia a calare e la mia preoccupazione si fa sempre più grande. Torna a perseguitarmi l'idea di aver sbagliato, di essere stata raggirata.
E se avessi consegnato Leto direttamente ai controllori?
Se questa anziana donna facesse il doppio gioco?
Una moltitudine di domande mi riempie la testa, quando sento il nitrito di un cavallo, «Andiamo». La donna mi mostra la strada, dall'altra parte del chiostro scorgo solo due cavalieri, dietro di loro, fa capolino la folta chioma bruna della donna che amo. «Leto!», esulto superando l'anziana donna e andandole incontro a passo svelto, lei scansa gli uomini in armatura e, fluttuando, mi raggiunge. Riporta i piedi a terra, solo dopo che le nostre labbra si sono sfiorate, «Mi sei mancata», mugugna baciandomi.
Poterla riabbracciare dopo così tanto tempo, dopo tutto quello che abbiamo affrontato, mi riempie il cuore di gioia, ed è così forte da straripare attraverso gli occhi.
È un pezzo bellissimo! 😍 Mi sto appassionando. Adesso non vedo l'ora di leggere la storia completa. ❤️ Poi quanto è dolce la scena in cui Aselma incontra Lady Dervorguilla. ❤️❤️