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  • Immagine del redattoreMaggie

L'ombra dell'olmo - Racconti


Ho deciso di presentarvi un reperto di qualche anno fa. Scrissi questo racconto breve per un concorso. Si doveva prendere ispirazione da dei dipinti. Non ricordo quale scelsi, ma doveva trattarsi di qualcosa di inquietante vista la piaga lovecraftiana che prese questa storia.

Mi rendo conto che si distacca un po' dallo stile Fantasy che sto cercando di mantenere sul blog, avvicinandosi decisamente più al genere dell'Orrore, ma sentivo di voler condividere con voi anche questa mia piccola sperimentazione.


Se è un periodo in cui vi sentite carenti di ispirazione vi consiglio di provare la tecnica delle immagini (o dei dipinti), perché funziona.

 

Il vecchio Marcel, aprì la gabbia e ne trasse fuori il suo parrocchetto. Questo, per abitudine probabilmente, gli volò sul dorso della mano.

«Caro Jasper, è brutto invecchiare» si rivolse poi al giovane ospite, che aveva fatto accomodare sul sofà del salotto. «La mia memoria non è più quella di un tempo… e anche se lo fosse, faticherei a ricordare ogni volto che ho incrociato nella mia vita».

«Quindi non ricordi il suo volto?» il giovane si muoveva sul posto, impaziente di conoscere la verità.

«Come hai detto che si chiama?»

«Joanne».

«Joanne, eh? Non credo di aver mai conosciuto nessuno con un nome simile. Me lo ricorderei altrimenti, non credi? Lo stesso nome di mia madre» l’uomo tarchiato raggiunse a passi pesanti la sua comoda poltrona.

“Madre, madre” ripeté il parrocchetto.

«Puoi giurarmi che non stai mentendo?»

«Da quando non mi credi più, Jasper?»

Il giovane immerse il suo viso tra le mani «Perché non rispondi alla domanda?»

“Domanda, domanda” lo copiò l’uccello.

Marcel non rispose, come perso nei suoi pensieri.

«Mi stai nascondendo qualcosa?» continuò a punzecchiarlo l’altro.

«Perché mai dovrei farlo?»

«Perché l’amavi».

Sul volto di Marcel comparve un sorriso sfuggente.

«È inutile continuare a nascondersi di fronte alle prove della polizia. Devi costituirti»

«Sei convinto che l’abbia uccisa io, vero?»

“Uccisa, uccisa”.

«Ti prego, zittisci quell’animale… Credi forse che esista qualcuno con un movente migliore del tuo?»

«Certamente».

Marcel si alzò e ripose il parrocchetto nella sua gabbia. Poi iniziò a fare avanti indietro per la stanza.

«Può essere stata l’ombra dell’olmo?»

«Che cosa vai dicendo? Non puoi dare la colpa a un albero».

«Non ci siamo capiti. L’ombra dell’olmo è un uomo».

Il volto del giovane poliziotto s’illuminò. «Vai avanti».

«È vero, conoscevo Joanne e provavo forti sentimenti per lei, ma era troppo giovane per me. Così ho preferito osservarla da lontano. Vivevo il mio amore platonicamente, mi lasciavo ispirare da lei per le mie opere. Non le avrei mai fatto del male. Un giorno l’ho seguita fino alla Collina degli Olmi e lì l’ho vista con un altro uomo. Avrà avuto quarant’anni, non era certo un giovanotto neanche lui. Poi li ho visti baciarsi».

«Chi era quest’uomo?» chiese l’altro incuriosito.

«Non ne ho idea. In paese non l’ho mai visto prima, forse un forestiero o un rifugiato di guerra»

«Su quali basi io dovrei credere a questa tua testimonianza?» chiese Jasper, non più sofferente davanti all’arrampicata sugli specchi dell’uomo.

«Il mio dipinto» disse Marcel, come avendo un’epifania, e corse in magazzino. Tornò con uno dei suoi ultimi dipinti, quello più famoso, al cui centro era chiaramente ritratto un olmo, alla cui base sostavano due amanti. «Questo lo dipinsi proprio quel giorno».

«Non è una prova sufficiente. Ho bisogno di sapere qualcosa di più su quest’uomo»

«Non ne ho altre, purtroppo. Jasper, sono disperato, tutti incolpano me dell’omicidio. Eppure ti assicuro che l’unica colpa che ho è di aver amato una donna».

«La sua famiglia, la gente vuole un colpevole. Tutti vogliono sapere cosa è successo a Joanne. Per favore, Marcel, non peggiorare la tua posizione e confessa adesso. Forse non ti impiccheranno».

«È stato lui. L’ombra dell’olmo, scommetto che è lui il colpevole. Invece di cercarlo accusate un innocente di un così efferato crimine».

«Mi dispiace» Jasper si alzò dal sofà e incrociò le braccia di Marcel dietro la sua schiena.

«Ti dichiaro in arresto».


«Non sono colpevole, dovete credermi» continuava a ripetere Marcel.

I suoi compagni di cella non lo sopportavano più. Tutti non vedevano l’ora che quel disgustoso assassino morisse. Che la tranquillità tornasse a regnare sovrana nel loro paese. La sua morte sarebbe stata un rito di purificazione da tutti i mali del mondo.

La puzza di pipì nel carcere era insopportabile, un po’ a causa della latrina e un po’ perché spesso i cani facevano i loro bisogni vicino alla finestra. In quelle condizioni sentiva di impazzire, iniziò ad avere delle allucinazioni, a scorgere ombre spiarlo attraverso le sbarre, poi ancora dentro la sua cella.

«Andate via!» urlava, spaventando gli altri prigionieri. «È l’ombra dell’olmo. È lui il colpevole!»

Poi ebbe una visione, il giorno prima dell’esecuzione. Era lei. Joanne lo fissava da un angolo della cella. Immobile, bellissima com’era in vita, ma allo stesso tempo inquietante. Non sembrava arrabbiata, anzi, divertita.


Il giorno dell’esecuzione fu scortato dal boia e dalla polizia fin sopra al palco. Ci vollero tre uomini per tenerlo fermo. Passò il tempo a divincolarsi, finché non si rese conto di non poter più fuggire dal proprio destino. Ecco che tornarono le allucinazioni. La vide di nuovo, tra la folla. Avrebbe davvero giurato che fosse lì. Joanne, la donna che amava.

Notò un uomo accanto a lei, il suo volto era famigliare. Era lui: l’ombra dell’olmo. Ci avrebbe scommesso. Riconobbe il suo volto scarno, la sua barba folta e grigiastra, i suoi occhi giudicanti.

«È lui! È l-» non fece in tempo a concludere la sua frase, che il suo collo si ruppe. Trascinandolo nel buio. Non si era nemmeno accorto di essere stato appeso al cappio, il suo sguardo terrorizzato era ancora fisso nel punto in cui aveva visto i due amanti.

Jasper aveva notato lo sguardo di Marcel, poco prima che morisse e si accorse che c’era davvero una donna molto somigliante a Joanne tra la folla.

Provò a raggiungerla, ma arrivò tardi. Era già sparita.

«E se fosse ancora viva?» propose il giovane poliziotto.

Tutti gli dissero che era stata una giornataccia e avrebbe dovuto riposare, ma lui si rifiutò di farlo. L’incertezza ormai si era fatta strada nel suo cuore e con essa anche i sensi di colpa.

Studiò il caso notte e giorno e più andava avanti con le sue ricerche, più tutto gli sembrava assurdo.


«Dovresti riposare» gli ripeteva ogni sera sua moglie, disperata dal suo stacanovismo.

Non mangiava, non usciva di casa, era sempre chino sulla sua scrivania a consultare ancora e ancora i fascicoli del caso.

Fu così che, stremato, ebbe l’idea di recuperare il quadro, quello che il defunto Marcel gli aveva mostrato prima del suo arresto. La casa era abbandonata da settimane ormai, pareva l’antro di una strega.

Quando varcò la porta gli sembrò di udire delle voci. Fece finta di niente. Era da così tanto che faceva le ore piccole e non ingeriva qualcosa, che non si sarebbe sorpreso di avere le allucinazioni.

Cercò disperatamente il quadro, prima nel magazzino, poi nel resto della casa. Non ve n’era traccia. Era il quadro più conosciuto di Marcel, perciò era probabile che qualcuno lo avesse preso dopo il suo arresto, magari il suo agente e amico Carlos, che curava ogni sua mostra da più di vent’anni.

Jasper decise di fargli visita. Erano le otto di sera. Un po’ all’infuori dell’orario di visita, ma non gli importava. Aveva un solo obiettivo, ovvero scoprire se la vittima fosse realmente Joanne, o un’altra donna.

Gli aprì la serva, che inizialmente apparve un po’ indisposta nei suoi confronti, a causa dell’orario, ma quando scoprì che era un poliziotto corse a chiamare il padrone di casa.

«Che succede?» chiese Carlos, mentre scendeva le scale coperto da una vestaglia.

«Sono dolente per l’ora. Dovrei farle qualche domanda».

Carlos lo invitò in casa, pur se infastidito.

«Cosa volete sapere?» si sedette sulla poltrona in salotto e trasse da una scatola laccata un sigaro cubano «Ne vuole uno?»

«No, grazie. Non fumo»

«Voi della polizia, siete tutti uguali».

Jasper si guardò intorno nervosamente, attirando l’attenzione del suo interlocutore.

«State cercando qualcosa?» sul volto dell’uomo comparve uno strano ghigno.

«In effetti… sto cercando uno dei dipinti di Marcel. Mi pare si chiamasse L’ombra dell’olmo».

«Non è qui» rispose secco l’agente «Non sono riuscito a trovarlo nemmeno io. Sa… credo sia un peccato»

«Cosa?»

«La perdita di un uomo col talento di Marcel. Chi avrebbe mai pensato potesse essere un mostro del genere».

Jasper gli fece qualche altra domanda riguardo ciò che il pittore aveva ritratto nel quadro, ma Carlos ammise di non sapere nulla di quello che passava per la testa di Marcel. Lui doveva solo vendere le sue opere, era pagato per quello. Così concluse il suo interrogatorio e ripiegò verso casa. Aveva una strana sensazione. Se non era Carlos, chi poteva essere?


Si stese a letto, cercando di ignorare l’insonnia. Quando udì un ticchettio provenire dalla finestra. Era un uccello che batteva insistente il becco sul vetro. Jasper si avvicinò, incuriosito dallo strano evento, e rimase di stucco quando capì che quello era molto simile al parrocchetto di Marcel, se non lo stesso. Il pennuto lo fissò per qualche istante, poi emise dei versi inconfondibili: “Ombra, ombra”. Aprì la finestra e quando lo ebbe in pugno, questo spiccò il volo e sparì, sorvolando il tetto.

Quell’episodio gli diede molto da pensare. Qualcuno doveva aver liberato l’animale, che in qualche modo era riuscito a individuare la sua dimora. Conosceva Marcel da tanti anni, forse il pennuto l’aveva cercato per dargli un messaggio.

Divagò con i pensieri ancora un po’, prima di rendersi finalmente conto di stare perdendo la lucidità. Quindi si sdraiò nuovamente a letto, anche senza riuscire a chiudere occhio.


Si svegliò nel pieno della notte, spaventando sua moglie. Non si era nemmeno accorto di essersi addormentato. Scese in cucina per procurarsi un bicchier d’acqua, quando un’ombra in particolare attrasse la sua attenzione. Bevve qualche sorso. La luce della luna era più chiara del solito quella notte. I raggi luminosi entravano dalla finestra, delineando una silhouette sul muro del salotto. Sembrava un albero, Jasper non aveva mai visto prima quell’ombra, e di notti insonni ne aveva avute. Rimuginò qualche secondo. Diede un’occhiata all’esterno e vide chiaramente che non c’era alcun albero così vicino a casa sua da riflettere una simile sagoma.

Rimase per minuti e minuti a fissarla. Allora comparve un’altra figura, questa volta si trattava chiaramente dell’ombra di un uomo. Guardò verso la finestra e notò che c’era davvero qualcuno là fuori. Scattò in piedi ed emise un urlo strozzato.

Ebbe l’istinto di uscire e controllare chi osasse aggirarsi nel loro giardino a quell’ora della notte.

Fece il giro della casa, poi dell’isolato, ma non trovò nessuno.


Si svegliò. Era in camera da letto e sopra di lui c’era il dottor Frederick, intento a visitarlo.

Non ricordava nulla di ciò che era successo il resto della notte.

«Come sta, dottore?» chiese sua moglie. Sembrava molto preoccupata.

«I valori sembrano nella norma. Come si sente?» si rivolse a lui.

Jasper sbuffò un po’ d’aria fuori dai polmoni, se li sentiva pesanti.

«Non capisco, dottore. Cosa è successo?»

«Non ricorda? È svenuto. Sua moglie l’ha ritrovata in giardino questa mattina».

Il poliziotto guardò la moglie e si rese conto che non era lei. Era un’altra donna, ne era certo. Era Joanne.

«Lei… Lei…»

«Si calmi» gli disse il medico con voce melliflua «Va tutto bene, è a casa adesso».

Anche il medico assunse improvvisamente un altro volto: era un uomo di mezz’età, magro e con una barba folta.

«V-va bene» rispose il paziente, convinto a quel punto di stare sognando a occhi aperti.

«Cosa credevi di fare, Jasper?» continuò la donna.

«Non puoi trovarci. Ora abbiamo noi il quadro» aggiunse il dottore.

«C-che cosa…» L’uomo era sconvolto.

«Cosa credevi di fare?» ribadì l’altra.

Si accorse che non riusciva più a muoversi dal letto, era come incatenato da una forza invisibile, nel mentre il dottore aveva raccolto dal comodino una siringa.

«Mio caro Jasper, sai come mai i medici fanno questo gesto?» fece uscire qualche goccia di un liquido trasparente dallo strumento «Si fa per permettere all’aria di uscire dalla siringa» quindi la svuotò in un recipiente.

«Lo sai cosa succede se si inietta dell’aria nelle vene di un essere vivente?» l’uomo avvicinò la siringa al braccio del paziente.


Finalmente si destò. Era nel letto padronale, insieme a qualcun altro. Si alzò in piedi, prendendo le distanze dalla donna che dormiva accanto a lui. Diete una rapida occhiata, scoprendo con sollievo che si trattava di sua moglie.


Jasper riprese le sue ricerche. Era dimagrito vistosamente, il suo volto era segnato da profonde occhiaie, la barba si era infoltita e i capelli erano poco curati. Chiunque potesse vederlo in quel momento, avrebbe pensato che fosse malato. Era quasi arrivato al capolinea della sua indagine, quando un giovane uomo si palesò nel commissariato e si rivolse direttamente a lui, come se sapesse ogni cosa.

«So dov’è Joanne».

I suoi colleghi pensarono immediatamente che si trattasse di un pazzo. Lui prese comunque da parte l’uomo e lo interrogò.

Il ragazzo si chiamava Vincent e aveva appena una ventina d’anni. Non solo conosceva bene Joanne, ma anche il suo amante. Un certo Daniel Durant, suo commilitone. Indagando un po’ sulla questione Jasper scoprì che Vincent e Daniel erano entrambi fuggiti dal campo di battaglia e tutti li consideravano dispersi. Vincent aveva salvato Daniel, trascinandolo via dopo che era stato colpito da una mina. Era convinto che fosse morto, ma dopo qualche minuto Daniel si rialzò in piedi come se non fosse successo nulla.

Le loro famiglie avevano già organizzato il loro funerale, perciò i due avevano viaggiato per un lungo tempo di città in città, come fantasmi.

Poi Daniel conobbe Joanne, ebbe un vero e proprio colpo di fulmine. I due si vedevano spesso sulla Collina degli Olmi. Joanne sapeva di essere costantemente seguita da Marcel, a conferma di questo venne il suo capolavoro “L’ombra dell’olmo”, che aveva notato a una mostra del pittore. Lo minacciò di denunciarlo alla polizia, mentre lui la minacciò di rivelare la vera identità del suo amante.

Daniel aveva tradito la patria e non poteva permettersi di essere scoperto, così lui e Joanne architettarono qualcosa, di cui anche Vincent stesso era all’oscuro.

«Ho dovuto liberarmi di questo peso, i sensi di colpa mi divoravano. Non avrei resistito ancora per molto tempo» confessò Vincent, con le lacrime agli occhi «Colpevoli di un omicidio, non riesco a crederci. E tutto per incastrare Marcel».

Jasper lo ascoltò con pazienza. Finalmente aveva un quadro più chiaro di ciò che era successo.

«Sai se sono stati loro a rubare il quadro di Marcel?»

Il giovane scosse la testa «Non ne so niente. Non vedo Daniel da più di due mesi ormai… la prego, non mi denunci. Avevo paura. Tutti i miei compagni erano morti e non sapevo più dove andare».

Jasper ebbe pietà di lui e decise di trattenerlo ancora un po’ solo per accertarsi che non avesse altre informazioni importanti da comunicargli.


Quella sera il poliziotto si recò nuovamente alla casa di Marcel.

Tossì a causa dell’aria polverosa, poi finì dentro una grossa ragnatela mentre attraversava il corridoio, infine rischiò di inciampare in una scatola appoggiata proprio all’entrata del salotto.

Ebbe l’impressione che qualcosa volesse trattenerlo dalla scoperta di qualcosa di importante. Così controllò ogni cassetto, ogni lavoro dell’artista, ogni anfratto di quella casa. Fu sollevando un portaombrelli adibito a contenitore di tele, che scoprì un’area quadrata del pavimento in cui le assi erano leggermente rialzate rispetto al resto. Si procurò un coltellaccio dalla cucina e lo utilizzò per fare leva. Era una botola, dentro c’era una scala a pioli scendeva giù, probabilmente fino a uno scantinato. Sentì nuovamente delle voci, questa volta più forti.

Lo scantinato era molto buio, perciò si dovette procurare una lampada elettrica. Con attenzione a dove poggiava i piedi, scese la scala, che cigolava pericolosamente a ogni passo. Emise un sospiro quando ebbe raggiunto il pavimento di pietra. Sobbalzò allo squittio di qualche topo spaventato dalla luce.

Avanzò coraggiosamente nel buio e scoprì che in quel seminterrato era nascosto gran parte del patrimonio artistico di Marcel. Erano quasi tutte delle grandi tele e i quadri avevano soggetti inquietanti.

Qui lo trovò, finalmente. Il famoso quadro “L’ombra dell’olmo”. Lo sentì sussurrare, poi il coperchio della botola sbatté e Jasper rimase al buio.

Terrorizzato, si allontanò dal dipinto, in direzione delle scale. La luce della lampada era il suo unico conforto in quell’ambiente tetro. Sentiva delle voci provenire dal dipinto, sempre più chiare e terrificanti: “Aiuto”, “Aiutaci” sembravano dire. Una era chiaramente femminile, le altre sembravano maschili e famigliari.

Risalì le scale, in pieno stato di panico, e sbucò nuovamente nello studio del pittore. Poi corse più veloce che poté. Nonostante si stesse allontanando da quel luogo, continuò a sentire forti le voci nelle sue orecchie. Non smettevano di tormentarlo e, ogni minuto che passava, erano più forti e più disperate.

Il paesaggio intorno a lui si contorse, come risucchiato da un mostro vorace che gli stava alle calcagna.

Improvvisamente ebbe la sensazione di cadere nel vuoto. Provò a guardare sotto di sé, ma non c’era niente.

Continuò a cadere fino a quando si rese conto che davanti a sé c’erano un grosso olmo e due sagome indefinite. Le urla erano strazianti. Emise un grido anche lui quando vide apparire un sé stesso di dimensioni mastodontiche. Come un riflesso al di fuori dello spazio e del tempo. Allora comprese: era finito dentro al quadro.

«Aiutami!» provò a richiamare l’attenzione di sé stesso.

I suoi grandi occhi erano spaventati, eppure non si muoveva. Restava lì a fissarlo, con quell’inquietante gelido sguardo.

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