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Pozione rigenerante - Sfida delle 5 Parole

Aggiornamento: 17 mag 2022


Parole: ovale, strumenti, bollitore, principe, cereali.

 

I suoi piedi affondavano, ad ogni passo sempre più, in quella melma gelida. Aveva piovuto da poco e le strade dei bassifondi di Jeran erano state coperte da una coltre nebbiosa, ingrigite dal gelo invernale. Aveva contato almeno una ventina di affamati lamentarsi per le strade. Per disperazione, alcuni offrivano in cambio di soldi i loro stessi figli. Nanerottoli sporchi di terra e puzzolenti come capre. Le meretrici erano pronte ad agguantarti a ogni angolo buio. La fame aveva reso i ladruncoli più furbi e più veloci. Gli assassini più spietati.

Aveva temuto più volte per la sua vita in quegli anni d’inferno. La città era diventata ingestibile e nelle campagne ormai non cresceva niente. Nell’ultimo mese, ogni giorno era morto qualche suo conoscente. Le ragioni erano sempre le stesse: stenti, malattia, qualche volta un furto andato male.

“Fame. Una parola che il principe sicuramente non conosce” pensò. Covava dentro di sé tanta rabbia che ormai l’unica cosa che gli permetteva di trattenersi era il pensiero della vendetta. Da quando quell’essere immondo aveva sostituito il vecchio re malato, il regno di Jeran stava subendo le conseguenze della sua inettitudine e immoralità.

Corrucciato, varcò la soglia della “Locanda di Faggio” e prese posto ad un tavolo quasi invisibile, appena dietro al fondo del bancone. Così gli avevano detto di fare. La locanda era deserta.

Attese per pochi minuti prima che Annie, la cameriera, si avvicinasse a lui. Aveva un viso molto bello: lineamenti morbidi, zigomi arrotondati e coperti da chiare lentiggini, due piccole fossette ai lati della bocca, il tutto incorniciato da morbidi capelli paglierini. Per quel che ricordava, aveva iniziato a frequentare quel locale da giovane e gli era bastato vederla una volta sola per rimanerne fulminato. Non era mai riuscito a parlarle, tanto meno a rivelarle ciò che provava.

Non la vedeva da diverso tempo. Gli fece male al cuore scoprirla così scavata, la pelle ingrigita e le morbide curve ormai erano un pallido ricordo.

Lei gli sussurrò all’orecchio «Il miglior formaggio avrai..?»

Lui rimase spiazzato e arrossì. Non gli si era mai avvicinata tanto prima di allora.

«… S-se col Faggio ti batterai» imbarazzato scostò lo sguardo per un momento e si sistemò la barba.

«Tra cinque minuti seguimi di sotto.»

Dopo aver detto questo, scese le scale e scomparve.

Lui attese con impazienza. Quei cinque minuti sembravano non finire mai. La rabbia che covava dentro da due anni aveva divorato ormai ogni suo sogno. Non provava una bella sensazione come quella da tanto tempo. Poteva finalmente rivalersi, vendicare i suoi cari e, inoltre, aveva appena ricordato di avere ancora qualcuno per cui combattere.

Scattò in piedi e scese le scale che conducevano nella tavernetta. La stanza era illuminata da due sottili finestrelle e un candelabro appoggiato sul tavolo. Ormai di vino, formaggi o salumi era rimasta solo l’ombra. Una decina di persone erano in piedi davanti a lui a formare un circolo, una di queste si ergeva su una cassa di legno capovolta. Era una figura slanciata e sottile, la testa coperta da un cappuccio.

Uno del gruppo si avvicinò e gli allungò la mano «Benvenuto nella Resistenza del Faggio. Eccomi qui».

Ebbene sì, era stato proprio il vecchio Faggio a organizzare quell’incontro.

Lui gli strinse la mano e fu colto di sorpresa quando Faggio lo spinse verso di sé in un abbraccio.

«Ti ringrazio per essere venuto Ben» gli diede qualche pacca sulla schiena e si staccò.

Incredibile che ricordasse ancora il suo nome. Gliel’aveva riferito, sì e no, tre volte di sfuggita nel corso degli anni.

«Ricordo tutti quelli che frequentano con piacere la mia locanda» affermò, leggendogli nel pensiero.

«Ora che ci siamo tutti, vi presento…» indicò con un braccio la persona sulla cassa «Sarja».

Il cappuccio fu gettato indietro, rivelando il volto di una giovane donna. Gli occhi sottili, il viso magro coperto di cicatrici, la pelle insolitamente pallida. Gli dava l’impressione di una nobildonna.

Non fece in tempo a squadrarla da capo a piedi che intravide qualcosa strisciare fuori dalla cassetta sotto i suoi piedi, per poi rientrare fulminea.

«Grazie a tutti per essere venuti all’incontro. Il mio nome è Sarja Marangeta di Jeran»

Si sentì qualcuno bisbigliare “Un momento”, “È un nome nobile”, “Chi è costei?”. Lui rimase in silenzio, incuriosito più dalla cassa, che da altro.

«Vi prego di non spaventarvi. Vi voglio presentare anche un mio amico…» si fermò, scese dalla cassetta e la sollevò lentamente. Ben notò che anche gli altri si erano accorti di quella strana presenza e avevano cautamente indietreggiato.

Sul braccio di Sarja si arrampicò una grossa lucertola, un animale che non aveva mai visto prima.

«Lui è Reus, l’erede del grande Drago Protettore».

«Un drago?» un giovane aitante si fece avanti «Esistono solo nelle favole. Quella al massimo è una brutta lucertola» rise di gusto, seguito da qualcun altro.

«È ancora un cucciolo, ma vi assicuro che la magia dei draghi scorre nelle sue vene»

«Allora dimostracelo».

Sarja incrociò lo sguardo di Reus. L’animale gonfiò il collo ed estrasse da due sacche sulla schiena le sue ampie ali. Dopodiché emise un rumoroso sospiro, ma dalla bocca gli uscì solo fumo nero.

«Questo sarebbe l’erede del grande Drago Protettore?» la incalzò ridendo un pasciuto uomo di mezz’età, sembrava l’unico a non essere stato toccato dalla fame.

Un brusio discordante si diffuse nella stanza.

«Non siate sciocchi» intervenne un anziano calvo dalla lunga barba bianca. Nelle sue mani reggeva un bastone di legno con una pietra perlacea incastonata sulla punta. La sua voce era la più debole in quella stanza, ma catturò comunque l’attenzione di tutti.

“Che sia… un druido?” pensò Ben.

«Il tempo è tiranno, vi ha permesso di dimenticare. Ma io non l’ho fatto» si avvicinò a Sarja «Non si vede un drago da centinaia di anni».

Senza alcun timore, l’uomo approcciò la bestia. Per qualche istante sembrarono comunicare con il solo sguardo. La lucertola iniziò a sbattere le ali, costringendo Sarja ad abbassare la testa.

«Avete il privilegio di guardare con i vostri occhi il nuovo Drago Protettore di Jeran».

Il brusio si attenuò.

«Ci stai dicendo, vecchio, che costei è la Signora di Jeran. Colei che è stata scelta dal Drago?» chiese lo stesso giovane di prima.

«Esatto» il vecchio indietreggiò.

Il brusio si riaccese.

«Allora perché non è lei al governo?» chiese una donna che si era tenuta in disparte fino a quel momento. Si distingueva bene per il volto emaciato e un grosso livido verdastro sulla guancia sinistra. «Perché lascia che il suo popolo muoia di fame da più di due anni? Hai una risposta a questo vecchio?» trasportata dalla rabbia alzò un po’ troppo la voce.

L’uomo accanto a lei, probabilmente il marito, le mostrò la mano e le ricordò di portare rispetto all’anziano. Lei si nascose nuovamente nella penombra.

«Ha ragione» rispose Sarja «Non ho aiutato la mia gente. Non ho potuto farlo. Per questo ora sono qui, per rimediare a quello che non ho fatto».

La donna recuperò la cassetta di legno e si sedette, invitando anche gli altri a farlo. Di casse vuote sicuramente non ne mancavano. Una volta che furono tutti accomodati continuò.

«Sono la sorellastra del principe di Jeran, figlia della prima moglie del Re. Cresciuta a corte, ma costretta a nascondermi quando i saggi hanno convinto mio padre che una primogenita femmina avrebbe portato sfortuna su Jeran».

«In effetti» sentenziò Ben, senza accorgersi di aver parlato ad alta voce.

Qualcuno rise.

Sarja lo fulminò con i suoi occhi scuri e penetranti. Un brivido gli corse lungo la schiena. Poi continuò il discorso fingendo di non averlo sentito.

«Nonostante questo, ero la preferita di mio padre e mio fratello è sempre stato geloso e crudele nei miei confronti. Così, quando il Re si ammalò, mi fece trascinare con la forza via dal suo capezzale fino alla prigione del castello, ove mi tenne rinchiusa e sotto osservazione per due anni» in quest’ultima affermazione una lacrima le rigò il viso. «A causa della malattia che gli corrodeva la mente, il Re non avrebbe potuto nemmeno accorgersi della mia assenza».

Una signora con corti capelli bianchi e un'aria rassicurate si avvicinò alla ragazza e le toccò il braccio libero, in segno di consolazione. La giovane apprezzò il gesto.

«Se sono riuscita a liberarmi dalla prigionia è tutto merito di Reus».

Il draghetto fece un verso acuto, come a risponderle.

«Ho combattuto per la mia libertà e adesso potrò finalmente combattere per il mio popolo».

«Ci stai dicendo che sei la legittima Regina di Jeran?» affermò il marito della donna emaciata. «L’avete sentita?» sorrise sornione «Vorreste che mi inchinassi a voi, vero?» sputò a terra «Sapete cosa abbiamo perso noi? Lo sapete?» si voltò verso sua moglie che scoppiò a piangere «Abbiamo perso i nostri figli, la nostra terra, il nostro spaccio. Questo ha fatto la stirpe reale, ha distrutto la città!»

«Ti chiedo di abbassare la voce Dario, potrebbero sentirci» lo riprese Faggio con tono allarmato.

L’uomo si calmò e tornò accanto alla moglie. Era così rosso in viso che pareva potesse esplodere da un momento all’altro.

«So quello che ha fatto mio fratello. Ha portato il nostro regno alla distruzione. È un festaiolo sperperatore, con il vizio del gioco e folli manie di grandezza. Non so davvero esprimere il mio dolore per le vostre perdite, è troppo. Quello che spero è di riuscire a riportarvi anche solo un barlume dello splendore di questa città, di questo paese».

Ben sciolse le braccia, che aveva tenuto incrociate fino a quel momento. In qualche modo le parole della giovane lo avevano convinto. L’avrebbe seguita in quell’impresa, anche perché non aveva più nulla da perdere.

In quegli anni il principe aveva organizzato feste lussuose e tracotanti per mostrare a tutti la ricchezza della famiglia reale. Aveva portato i contadini a sfruttare sempre di più le loro terre e la loro magia per far crescere le piante più rapidamente, fino a quando la terra stessa si è rifiutata di obbedire. La terra che la sua famiglia aveva coltivato per generazioni, i suoi amati campi di farro ormai erano aridi, tanto da non assorbire nemmeno più l’acqua. La sua famiglia si era spenta lentamente a causa di un’epidemia. Una cosa mai vista prima. Lui era l’unico sopravvissuto.

«Brigge, potresti mostrarci quella cosa?» chiese Faggio alla donna che prima aveva consolato la principessa.

«Certamente» la donna si alzò e con tranquillità salì le scale.

«Di cosa si tratta?» chiese Ben.

«Qualcosa a cui stiamo lavorando da un po’ di tempo. Alcuni di voi conoscono già le abilità alchemiche di Brigge. Lei e suo marito erano gli speziali della città, prima che…» si bloccò.

Ben non li conosceva bene, ma le notizie correvano in fretta e tutti conoscevano la triste morte dello speziale. Un giorno, una donna disperata era entrata in bottega in cerca di una medicina per il figlio malato. Purtroppo la follia l’aveva già presa da tempo. Perciò, udendo che non vi era un rimedio sicuro contro la malattia e convinta che l’uomo in realtà le stesse nascondendo la medicina che avrebbe salvato suo figlio, gli saltò addosso accoltellandolo, ancora e ancora.

Un giovane, che Ben notò solo in quel momento, appoggiò le mani sulle spalle di Faggio. Riconobbe il taglio del suo viso. Era suo figlio. L’aveva visto qualche volta uscire con la testa dalla cucina per discutere con la sorella sugli ordini. Non conosceva il suo nome.

Annie, nel frattempo, sembrava ipnotizzata dalla creatura appollaiata sulle spalle di Sarja.

Qualche minuto dopo, Brigge tornò con le mani occupate da una boccetta di appena dieci centimetri. Al suo interno si agitava un denso liquido verde.

La donna iniziò a spiegare. «Questa è una pozione speciale. C’è stato bisogno di tempo per trovare gli ingredienti giusti, ma dopo qualche mese siamo riusciti finalmente a ottenere degli effetti».

Aprì la boccetta e rovesciò una minuscola goccia per terra. Appena il liquido verde entrò in contatto col pavimento di legno, da quest’ultimo fuoriuscirono tanti piccoli germogli, che crebbero molto velocemente e si irrobustirono, sotto l’occhio stupito degli ospiti. La loro crescita si arrestò solamente quando ebbero raggiunto il soffitto.

«La chiamo “pozione rinvigorente”. È da tanti anni che non ne preparavamo una. Dovrebbe servire per aiutare la terra a guarire, ma in questo caso la utilizzeremo per un altro scopo» spiegò lei.

Il vecchio Faggio guardò Ben sorridendo.

«So che sei un contadino e che la tua famiglia conosce le arti magiche legate alla coltivazione. La tua esperienza ci sarà molto utile».

Ben si avvicinò alla pianta, che aveva diviso la stanza, come un sottile muro verde. Avvicinò le mani e sentì la pianta parlargli. I fili verdi del rampicante gli avvolsero le mani e gli crearono dei tondi scalini. Per superare le mura sarebbe stata perfetta.

«È ciò che ci voleva. Sarà molto utile» affermò Ben. Poi si fece da parte.

Era sempre stato un uomo di poche parole.

«Sarja» intervenne improvvisamente il druido. «Ciò che hai vissuto è stato terribile, perciò ti chiedo: sei davvero pronta a fare questo passo?»

In quel momento, Ben scorse un tremore sulla ragazza. Non sembrava il tipo di persona abituata a comandare. Stava provando a nascondere le sue paure, probabilmente. Visto il momento di incertezza, decise di darle manforte e fece dei passi verso di lei.

«Se è tua intenzione spodestare tuo fratello. Io sarò dalla tua parte, anche a costo di morire».

Il suo intervento la rincuorò visibilmente e diede il via ad altre persone che la pensavano allo stesso modo.

L’unica titubanza provenne dall’uomo di mezza età tarchiato che era intervenuto solo una volta fino a quel momento.

Alla fine, però, erano tutti d’accordo.

«Salviamo Jeran» chiuse Faggio, prima di congedare il gruppo.

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