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La maga d'inchiostro - Cap. 1

Aggiornamento: 3 gen 2020



Ogni volta che raggiungeva la cima della collina, la fresca brezza estiva le sfiorava i capelli, solleticandole il collo e costringendola a ridere. Amava quella vista, quel panorama sterminato, dal quale poteva percepire tante sfumature di verde. Il suo colore preferito, il colore delle piante. Aveva preso l’abitudine di appoggiarsi sulla vecchia staccionata che la separava da quella splendida piana. Le sfuggì un fremito di dolore e si toccò la gamba. Non le era andata bene al lavoro quel giorno: la sua maestra, Penelope, l’aveva rimproverata aspramente dopo che le era scivolato di mano uno dei calici di vetro che avrebbe dovuto dipingere. Era stata imbranata, come al solito, e nel piegarsi per raccogliere i cocci si era appoggiata a un grosso pezzo di vetro, senza accorgersene, ovviamente. Così si tagliò proprio sotto il ginocchio. Solo a ripensarci, Maggie aveva l’istinto di toccarsi la ferita, per paura che si riaprisse. L’unica cosa in grado di calmarla era il panorama che aveva davanti a sé.

I suoi primi giorni da apprendista nella bottega di Robin e Penelope si erano rivelati un inferno. Le palpitava il cuore al pensiero di doverci tornare l’indomani. Dipingere coppe e calici non era la sua aspirazione di vita, in fondo. Aveva sempre amato la scrittura, invece. Sentiva di avere un legame molto speciale con l’arte di mettere insieme parola per parola, fino a creare un racconto.

I suoi genitori non facevano che metterle fretta. Il fatto che la sua magia non si fosse ancora risvegliata preoccupava più loro che lei. Maggie era ormai ventenne, ben lontana dall’età in cui cominciano a mostrarsi i poteri magici di una maga. Aveva provato ogni tipo di attività: dalla contabilità al giardinaggio, dal circolo di scacchi fino ad arrivare alla pittura di calici di vetro, che neanche le piacevano. Non ricordava quasi nulla della sua infanzia, a causa dei continui cambiamenti di attività che era quasi obbligata a fare. Nulla le piaceva davvero. L’unico ricordo che le rimase impresso era quello in cui da bambina aveva scritto una fiaba, annotandosi ogni capitolo su un foglietto di carta. Era una fiaba bellissima e la sognò spesso negli anni a venire, però non ricordò mai come finisse perché, a causa della sua sbadataggine, perse tutti i foglietti, tranne due. Fu proprio quando riuscì a recuperare questi foglietti che la giovane maga si decise a scrivere un nuovo racconto. Nelle sue speranze c’era sempre di riuscire a replicare la fiaba che scrisse da bambina, ma sapeva già che era un’utopia.

Udì un bubbolio in lontananza, lo riconobbe subito. Gunniver, il suo famiglio, si appoggiò sul suo braccio, zampettando per appostarsi sulla spalla. Lei non distolse lo sguardo dal panorama, troppo impegnata a riflettere su un passato ormai irraggiungibile.

«Sei ancora qui a fissare il vuoto?» la rimbeccò il gufo.

Gunniver aveva uno splendido piumaggio che virava dalle tonalità del castano più scuro, al color nocciola, i suoi occhi gialli si illuminavano come semafori al contatto con la luce del sole.

«Già. Fatti gli affari tuoi».

Il gufo fece il pappagallo per prenderla in giro. Maggie lo fulminò con lo sguardo, non dicendo una parola.

«Devi smetterla di pensare al passato. Pensa piuttosto a come spiegare a mamma e papà che hai scoperto che anche questa attività non fa al caso tuo».

Maggie rivolse gli occhi al cielo e in questi si rifletterono le nuvole, come in uno specchio. Si pasticciò un po’ i capelli, nervosa.

«Non posso deluderli di nuovo. Loro si impegnano così tanto per darmi un futuro migliore».

Il gufo scosse leggermente la testa. «Sappiamo bene che il tuo futuro non è colorare bicchieri».

Maggie rise dolcemente. Era vero, lei amava la scrittura e sapeva che i suoi poteri erano in qualche modo collegati a quest’ultima, anche se doveva ancora capire come.

Il canto dei passerotti e il suono gentile del vento accompagnarono la loro chiacchierata. Quando un fruscio secco, come di rametti smossi, ruppe l’atmosfera. Maggie e Gunnie si girarono istintivamente e in quel momento il suono si ripeté. Sembrava che qualcuno si stesse nascondendo nei cespugli a pochi metri di distanza da loro.

«Chi è?» chiese la maga.

A quelle parole qualcuno spuntò dalle sterpaglie. Era un ragazzino gracilino, un monello del posto. Le fece una pernacchia, lanciò un ramoscello e fuggì a gambe levate.

«Quel bambino non ha proprio nulla da fare» affermò Gunniver, sbattendo le ali in segno di protesta.

«Non ho tempo di giocare con lui» scherzò Maggie.

«E se lo seguissimo, giusto per vedere dove abita?» propose il gufo.

«Non sono mica una stalker».

«Mi prendi in giro?» il rapace la guardò sottecchi.

Maggie rise. «Forse è meglio tornare a casa».






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