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Il viaggio di Miriam (finale A)



Miriam si ritrasse. Non aveva intenzione di entrare in quella nebbia e non si sarebbe arresa così facilmente. Se quel treno doveva ripartire l’avrebbe fatto.

«No», rispose secca. «Io resto qui. Aspetterò»

L’uomo fece un leggero inchino e sorrise. Sembrava aver intuito le sue intenzioni un attimo prima che lei gliele esponesse. Dopodiché girò sui tacchi e varcò il vuoto, scomparendo dietro al fosco candore di quello strano fumo.

Miriam pensò per un attimo di essere impazzita. Non voleva restare di nuovo da sola. Tornò lentamente al suo posto ed attese ancora per qualche minuto con le orecchie aperte, aspettando che il treno producesse qualche rumore. Stancatasi, si alzò in piedi e proprio in quel momento il suo vagone compì uno scatto in avanti, facendola ricadere sul suo sedile. Non aveva nemmeno sentito l’accensione del motore. Era partito e basta. Il freddo tornò. Eppure stava ripartendo. Sarebbe riuscita ad arrivare a casa. Nell’istante che lo realizzò, si sentì congelare il cervello a tal punto che dovette chiudere gli occhi.

Quando li riaprì si trovava su una barella, sentiva il rumore delle ruote che si spostavano veloci sull’asfalto. Proprio sopra di lei c’erano due uomini. Non riusciva a distinguerli nitidamente, ma si sentiva al sicuro e anche molto stanca. Aveva il fiato corto, quasi bloccato. Aveva tanto freddo. Nel frattempo le avevano fatto indossare un respiratore. Raggiunsero l’ambulanza e poi fu buio.

Si risvegliò nuovamente solo sul suo lettino d’ospedale. Sua madre era lì. Sembrava aver pianto molto. Lei cercò di mettersi seduta, ma non ne aveva la forza. Era molto confusa. Non ricordava nulla di ciò che le era successo su quel treno. Sua madre notò che era sveglia e chiamò l’infermiere, poi tornò accanto a lei e prese la sua mano tra le sue.

«Miriam. Come stai?».

Lei faticò a rispondere, ma annuì per non farla preoccupare troppo, sussurrando un “bene”.

Dalla porta entrò un uomo, l’infermiere, seguito da un altro un po’ più giovane. Quest’ultimo aveva dei lunghi capelli scuri e gli occhi castani. Il suo naso era leggermente aquilino. Le parve immediatamente familiare.

«I-o… ti ho già visto», gli disse lei con il poco di voce che aveva.

«Certo che l’hai già visto, Miriam. Lui», sua madre indicò il giovane. «è uno dei volontari che ti ha salvato la vita».

Miriam sgranò gli occhi. Quell’uomo somigliava tanto a qualcuno che forse aveva già visto in sogno. Lui la salutò alzando la mano e sorridendo, poi si allontanò.

«È tornato per assicurarsi che stessi bene»

«C-cosa è successo?».

«C’è stato un incidente», la madre non aggiunse altro.

«È tanto grave?», chiese la figlia riferendosi alle sue condizioni.

«I medici dicono che ti riprenderai presto. Che sei una ragazza combattiva», la donna sorrise. «Che ne dici di prenderci un bel succo, una volta che starai meglio?».

Miriam annuì, anche se in quel momento aveva voglia solo di qualcosa di caldo che le rilassasse i muscoli.

Non aveva idea di cosa fosse successo. Una cosa però la sapeva. L’uomo che aveva visto in sogno e quel giovane uomo che tanto gli somigliava erano la stessa persona. Doveva trattarsi del suo angelo custode.


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