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La maga d'inchiostro - Cap. 3

Aggiornamento: 3 gen 2020


La maga d'inchiostro

Andarono avanti ancora per poco, infatti a un tratto Maggie si fermò, cogliendo di sorpresa anche il suo famiglio.

«Si può sapere che ti prende?» si lamentò lui.

«Pensavo ancora al rumore che abbiamo sentito poco fa».

Il gufo comprese l’ansia della compagna, così rinunciarono all’inseguimento e presero la strada per il villaggio.

«Spero per te che non sia per gli sconti del cartolaio»

«Ti sembra che abbia voglia di comprarmi delle penne nuove?» ribatté la ragazza.

«Ti prendo in giro. Lo sai che sono fatto così. Che tu sei fatta così».

Maggie sorrise debolmente. Dentro di lei crebbe ancora quel senso di inquietudine. “E se fossero loro?” si chiedeva tra sé e sé. La sua voglia di correre per arrivare al villaggio il prima possibile era forte, ma cercò di contenersi, o avrebbe rischiato di fare una figuraccia.

Era da qualche anno ormai che non si palesavano e che poteva dormire sonni tranquilli, ma era strano che qualcuno si divertisse a lanciare petardi a fine estate. A lanciarne uno solo, tra l’altro. I festeggiamenti più rumorosi erano in genere alla fine dell’anno, quando il grande freddo lasciava spazio a un clima più temperato. Periodo in cui passava intere giornate chiusa in casa. Lei odiava i petardi.

Raggiunsero il villaggio, constatando che la vita continuava regolarmente. Nessuno sembrava sull’attenti o spaventato. Entrarono in paese seguendo la via sterrata della fattoria di Samuele, amico di vecchia data dei suoi genitori. Maggie cercò l’attenzione di Remo, il figlio del contadino, che in quel momento stava trasportando un mucchio di fieno col carretto, tirato da un bue.

«Ehi!»

Il giovane fece fermare la bestia appena udì la sua voce. «Maggie! Che ci fai qui a quest’ora?»

«Ciao Remo! Hai sentito quel rumore? Intendo quell’esplosione… sembrava un petardo».

Remo la guardò perplesso, corrucciando le sopracciglia. «Non capisco a cosa ti riferisci».

«Non hai sentito nessun rumore… strano?».

Lui scosse la testa. «Farai meglio a tornare a casa. Tra qualche ora si farà buio. Sai bene che il paese non è molto illuminato. Non siamo mica in città!» quindi la salutò e riprese la sua strada.

Maggie lo seguì fino alla piazza del villaggio. Rimase in silenzio, fortemente turbata da quello che sembrava aver sentito solo lei.

«Ciao Maggie. Ciao Gunniver».

Quelle parole la fecero trasalire. L’aveva salutata Penelope, la sua mentore.

Ricambiò con un sorriso indeciso. Non le andava di parlare in quel momento.

«Cosa ci fate ancora in giro? Tu non dovresti essere a casa a esercitarti?» le ricordò.

Sapeva bene che avrebbe dovuto praticare l’arte della pittura per diventare brava e svegliare i suoi poteri magici.

«Maggie… Come pretendi di risvegliare la magia che c’è in te se non ti applichi?» la voce della donna si ammorbidì, diventando melliflua. «Sei una maga creativa, questo lo sappiamo, dobbiamo solo scoprire come fare scattare la scintilla. Ricordi quella volta che riuscisti a controllare il pennello a regola d’arte? Sei naturalmente portata per la pittura dei calici, che ti ricordo essere un’arte antica di secoli…»

Il discorsetto andò avanti ancora per qualche minuto. Non sopportava più quella donna e la sua voce fastidiosa. Per convincerla a rimanere a farle compagnia nella bottega riesumava sempre dei casi, che di sicuro non dimostravano la presenza di magia nella sua attività, ma che secondo lei testimoniavano che quel mestiere le cascava a pennello.

Penelope era una donna dai capelli biondi lisci come spaghetti, spesso le davano l’impressione di essere unticci. Aveva un bel viso e degli incantevoli occhi castano scuro, la sua pelle era stata martoriata dall’acne quand’era giovane e ne portava fieramente i segni, senza coprirsi mai con del trucco. I suoi denti erano storti e ingialliti a causa del caffè che si scolava almeno quattro volte al giorno. Forse era per quello che sembrava sempre così pimpante. Aveva un portamento elegante e Maggie la invidiava molto per questo. Non era sposata e viveva con la famiglia di sua sorella Robin. Andava molto fiera del suo ruolo di zia e non faceva che parlare dei nipotini sul lavoro. Non era una brutta persona, ma la sua insistenza e il suo carattere impiccione erano davvero insopportabili. Maggie ricordava di aver sviluppato l’antipatia nei suoi confronti proprio quando era entrata in bottega come apprendista.

Stava pregando che quel momento imbarazzante finisse il prima possibile, quando nella piazza risuonò l’eco di uno scoppio, identico a quello che aveva sentito in precedenza. Questa volta le persone affaccendate che passavano in piazza parvero accorgersi del rumore insolito e qualcuno fece suonare l’allarme. I rintocchi delle campane fomentarono la paura nel paesino. La gente si chiudeva in casa e sbarrava la porta. Nell’aria risuonarono altre esplosioni.

«Stanno lanciando i petardi!» non aveva mai visto Penelope così spaventata.

Maggie era paralizzata. Le ci volle un po’ per capire che doveva correre dritta filata a casa.

«Ehi! Veloce vieni con me!» Penelope le porse la mano.






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