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La maga d'inchiostro - Cap. 5

Immagine del redattore: MaggieMaggie

Aggiornamento: 3 gen 2020


la maga d'inchiostro

Desiderosa di comprendere cosa volesse quel monello da lei, riprese l’inseguimento. Girò l’angolo e passò accanto al negozio del fornaio, dal quale si sprigionò un forte odore di pane appena sfornato. Non poté evitare di fermarsi un secondo a osservare incantata il cibo in esposizione, ma si riprese subito e avanzò più velocemente. Se aveva capito bene, quel piccolo stava cercando di dirle qualcosa e di sicuro non sarebbe sparito nel nulla proprio ora che si era appena mostrato a lei.

«Questo ragazzetto mi farà perdere la pazienza. Guh» sbottò Gunniver alterato.

«Parli come se ne avessi in abbondanza» rispose prontamente lei.

Tra di loro era un perenne battibecco da quando si erano incontrati per la prima volta. Ricordava ancora la volta che le comparve dal nulla quando era piccola, era un gufetto allora, ma il suo carattere non cambiò con l’incedere del tempo.

Si dice che la magia appaia agli occhi del mago sotto forma di famiglio, solitamente un animale, ma può essere anche una fata, un folletto, uno gnomo, o qualsiasi altra creatura magica esistente. Ogni famiglio è visibile solo al proprio “padrone”. Gli altri possono vedere appena, strizzando gli occhi, delle variazioni luminose vicino al mago. Nonostante ciò, è buona educazione salutare sia il mago che il suo famiglio se li si conosce bene, perché offendere un famiglio permaloso ignorandolo potrebbe provocare una brutta reazione nel mago stesso. A seconda della persona a cui appare si adatta nella forma, nel carattere e nelle inflessioni più profonde. I famigli non possono fare magie, ma aiutano i maghi più esperti a evocare incantesimi complessi. Gunnie era una vera e propria riflessione del carattere di Maggie: lei era una ragazza ben educata e sincera, ma non poteva proprio fare a meno di quella vena polemica che le scattava quando c’erano di mezzo i diritti degli altri, era distratta, orgogliosa e pragmatica. Gunniver la incarnava alla perfezione con i suoi discorsi pungenti, a volte fastidiosi e le sue reazioni improvvise e cristalline.

Percorsero la viottola, fino a sbucare in un vicolo cieco. Maggie sobbalzò quando vide appena davanti a sé il bambino.

«Ehi, aspetta» si affrettò a parlare lei «Ragazzino, si può sapere cosa vuoi?»

Il bambino non parlò, ma sorrise e, con sua sorpresa, le si avvicinò. Maggie indietreggiò di un passo senza capire il perché della sua reazione.

«Dici che è muto?» le sussurrò Gunnie all’orecchio.

«Potresti rispond-» lei non riuscì a terminare la frase, perché il ragazzino le prese la mano.

Improvvisamente sentì nei suoi confronti uno strano senso di intimità. Il desiderio di riavvicinarsi a lui, di smettere di provare fastidio ogni volta che lo vedeva. Si chiese perché le stesse succedendo una cosa simile, visto che sentiva di conoscerlo, ma allo stesso tempo era uno sconosciuto.

La reazione di Gunnie al suo gesto fu spiccare il volo e atterrare sul primo tetto a disposizione, dondolandosi sulle zampe. Qualcosa lo aveva sconvolto e Maggie si accorse solo qualche secondo dopo della ragione di quel comportamento. I suoi occhi furono accecati da una luce abbagliante, non riusciva a capire da dove provenisse. Sentì anche qualcosa di opprimente schiacciarle la cassa toracica. Un urlo distorto le inondò la mente e lei rispose aprendo la bocca per gridare, ma non ci riuscì. Ebbe la sensazione di essere sospesa tra sonno e veglia. Fu quando vide due sagome stese a terra inermi che si sentì cadere e tornò con violenza alla realtà. Il ragazzino era svanito nel nulla.

«Devo tornare a casa».

Terrorizzata all’idea che ciò che il bimbo le aveva trasmesso potesse essere una visione dei suoi genitori, prese a correre disperatamente verso casa. Risalì il paese, casa sua era situata quasi sulla cima della collina su cui si strutturava la cittadina. Le casette nella sua zona erano accostate molto vicine tra di loro e perlopiù erano state dipinte di colori chiari. Fece fatica a infilare la chiave nella serratura per l’agitazione, ma riuscì a entrare. Chiamò più volte a gran voce sua madre, fin quando non le arrivò una risposta attutita dalla cucina. Corse da lei e, appena vide che era intenta a versarsi del tè, le saltò addosso per abbracciarla.

«Ehi, ciao. Ho fatto il tè, ma visto che non arrivavi non sapevo se farne di più»

«Così basta, grazie mamma» rispose Maggie, incapace di controllare la gioia.

«Come mai hai fatto così tardi? Mi hai fatta preoccupare. Ho sentito le campane, cosa è successo?».

Riuscì appena a biascicare qualche parola. Sapeva che se avesse parlato dei dimenticati i suoi genitori non le avrebbero più permesso di uscire di casa. L’ultima volta che era successo qualcosa di brutto in paese si era dovuta sorbire la compagnia del suo vicino ogni volta che doveva andare a scuola. Essendo che faceva la sua stessa strada e i suoi stessi orari lavorativi, i suoi genitori gli avrebbero sicuramente chiesto di tenerla d’occhio lungo la strada. D’altro canto, sicuramente sarebbero venuti a conoscenza dell’avvenimento appena scesi in paese.






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