Sarà complicato per me recensire questo libro, perché mi infastidisce quando l’idea buona c’è, ma la realizzazione lascia proprio a desiderare. Il protagonista del romanzo di Giachetti è Ismael, un uomo che ha perso tutto, compresa la fiducia nel mondo. Nel suo tentativo di farla finita viene salvato da una navicella aliena, che gli permette di ricominciare la sua vita “migliorata” in una miniera su un pianeta a lui sconosciuto.
La trama aveva una base molto interessante, a mio parere. Ero curiosa di sapere come Ismael si sarebbe comportato da quel momento in avanti. Il protagonista è stato caratterizzato bene dallo scrittore, questo almeno all’inizio. Il suo dolore, la sua depressione vengono descritti molto bene. Man mano che andremo avanti l’empatia che proviamo per lui va scemando. È stato proprio questo a deludere più di ogni altra cosa le mie aspettative. La narrazione non è delle migliori è decisamente troppo lenta. L’autore si ferma spesso a descrivere ogni singola azione compiuta da Ismael. La situazione più drammatica è quando questo cerca di comunicare a “Palletta”, una palla droide che lo accompagna in questa avventura: ci dovremo sorbire la descrizione di ogni singolo tasto, ogni singolo comando che Ismael darà a quest’ultima. Non si tratta di una situazione che dura qualche paginetta, ma svariate pagine, capitoli addirittura! Sembra quasi che l’autore voglia mostrarci ciò che avviene come se stessimo guardando un film, sbagliando completamente approccio.
Il modo in cui accadevano le cose non contava più niente ormai, e lo dava per scontato anche se era pazzesco quello che gli stava capitando, e cioè, essere dov’era a sfuggire sonde aliene parlando ad una palla!
Gli alieni sembrano delle barzellette, vi basti leggere il nome “Hyxyhii”, che tra l’altro compare solo all’inizio del libro e poi basta. Ho la sensazione che l’autore volesse lasciare spazio per un seguito, anche se la voglia di leggerlo mi dovrebbe cascare proprio addosso per convincermi a farlo. Gli extraterrestri sono troppo umani, non solo nei loro comportamenti e rituali sociali (come quello di donare un mazzo di fiori), ma anche nei prodotti che coltivano e in ciò che mangiano. Ismael non avrà mai problemi ad assaporare del cibo alieno, nonostante ci siano alieni che vengono letteralmente descritti come insetti giganti. Non ci vedo nulla di male in questo, anzi un po’ di varietà ci vuole in un libro di fantascienza, ma non credo proprio che in tal caso sia semplice per il nostro protagonista reperire del cibo digeribile per il suo stomaco, che rimane pur sempre umano, nonostante i naniti.
Giusto, parliamo dei naniti. Questi ultimi sono delle macchine molecolari che, seguendo la logica del racconto, sarebbero entrate nel corpo di Ismael, rigenerandolo, fortificandolo e aiutandolo in modo fondamentale nella comunicazione con Palletta. Sento il bisogno di farvi una citazione, perché il modo in cui Ismael è entrato a contatto con queste tecnologie evolutissime è esilarante. Gli alieni che l’hanno salvato, l’hanno fatto perché la sua vita messa a rischio ha attivato un protocollo di salvaguardia della loro navicella. Questi vengono chiamati dall’autore N°1, N°2 e N°3. I primi due avranno un’animata discussione sulla natura del passeggero: N°1 lo considera appartenente a una razza primitiva, mentre N°2 è convinto della somiglianza della sua razza alla loro. Dopo questo litigio, che in certi punti è degno dei coloni inglesi dell’Ottocento “Beh, per lei, così affascinato dalle culture primitive la noia non esiste immagino. Ma io, amo l’azione! Ed il viaggio è lungo, mi prendo la libertà di qualche piccola distrazione dunque, qua e là, non me ne voglia!”, N°2 decide di impiantare nel soggetto un cip che potrebbe essergli utile, solo che invece che dargliene uno più comune, gliene dà uno migliore, questo perché ha confuso il blu con il viola. Insomma, Ismael ha avuto particolare fortuna grazie al daltonismo di un’alieno.
L’autore si è impegnato moltissimo nella costruzione del suo mondo, di questo gliene devo dare atto, però ha trovato il modo peggiore di illustrarlo al lettore: ovvero mediante il magico e veloce mezzo dello spiegone. Uno spiegone giustificato, certamente, ma che si dimostra un pippone terribilmente noioso da leggere. Un consiglio che potrei dare a Gachetti è di cercare un modo meno pesante e più distribuito durante la narrazione di raccontare il suo universo, cercando quindi di rendere la lettura più semplice e più divertente al lettore.
È letteralmente impossibile non notare, lungo tutta la narrazione, i troppi errori di battitura, di sintassi, di punteggiatura, ripetizioni inutili nella stessa frase e così via. La sensazione che ho avuto leggendo è stata che nessuno abbia toccato questo libro per fare una correzione di bozze. Né un professionista, né lo stesso autore sembrano averlo riletto prima della pubblicazione. Spesso capita di vedere delle frasi come “Funzionavano da pila cioè, e rilasciavano poi gradualmente energia […]”, in cui il “cioè” viene utilizzato in modo sbagliato, che non sono neanche le peggiori. L’utilizzo delle eufoniche è decisamente sopra le righe. Non esiste una congiunzione in questo libro che non abbia un’eufonica (ed, ad, od), forse esagero un po’, ma è questa la sensazione che mi ha dato. Credo inoltre che l’autore ignori il corretto utilizzo di queste ultime. Un altro brutto vizietto dello scrittore è quello di mettere praticamente sempre il soggetto alla fine della frase, un espediente che rende spesso le frasi difficili da leggere e che disarmonizza troppo il testo. È come ascoltare un canto stonato e cercare di comprenderne le parole. Spesso ci sono anche delle ripetizioni sciocche e inutili nella stessa frase. Durante gli spiegoni vengono aggiunti a volte dettagli inutili ai fini della trama, perciò il testo si allunga tanto, ma senza dare la soddisfazione di aver letto tanto per una ragione narrativa particolare. Sono molto frequenti tra l’altro gli errori di battitura, che intaccano principalmente i nomi alieni, causando confusione su quale sia la reale pronuncia, persino il nome del protagonista viene storpiato in mille modi: “Isamel”, “Iasmel”, “Ismeal” eccetera.
La parte in cui Ismael scopre il mondo alieno con cui ha a che fare è tanto noiosa, ho rischiato di addormentarmi più e più volte, nonostante mi fossi rifugiata in biblioteca proprio per mantenere alta la concentrazione. Si arriva praticamente a metà libro che il protagonista è ancora fermo lì ad apprendere cose che non risultano poi effettivamente importanti per ciò che avverrà di seguito. Dopo tutte queste pagine in cui il protagonista imposta gli ordini per Palletta, un po’ le palle me le sono rotte anche io.
Ad un certo punto ho sbroccato e nelle note hanno cominciato ad apparire sentenze di questo genere: a seguito della frase “Ismael, stanco e allucinato da tanto studio, decise di dormirci su.” ho scritto “Sono allucinata anche io, ma non posso andare a dormire perché questo libro mi ha tolto il sonno”.
“Quello lo guardo male, lo squadrò malissimo il mercante, e solo perché s’era avvicinato troppo, ma Ismael, non gli badò, era ancora intento ad osservare le reazioni del bruto barista. Ma il mercante si fece sotto minaccioso, adesso lo aveva notato Ismael.”, frase presa esattamente come è stata scritta. Noterete sicuramente come ci siano delle ripetizioni e i soggetti tendano spesso verso destra.
“Ismael capì che era il momento! Quindi, andò al primo vero affondo: «No no, che spezia, no, altro mi serve!»
“Ma, poi, sornione, aggiunse: «Ma forse, voi … preferite che parli con un vostro delegato?»
“Ismael lo lisciò un poco dicendogli quel che gli aveva detto, inventando cioè la storia del delegato…”
L’ultima frase dice più di mille parole.
Di nuovo: “Scoppiò a ridere a crepapelle dopo quella battuta che aveva detto, e gli sembrò oltre che azzeccata anche fonte di una posizione di vantaggio con quello che poteva potenzialmente essere un cliente quella battuta…” perché la necessità di ripetersi? E perché “quella battuta” sta alla fine della frase, quando dovrebbe stare all’inizio, ovvero: “e gli sembrò che quella battuta fosse, oltre che azzeccata, anche una posizione di vantaggio con quel potenziale cliente.” notare anche l’aggiunta delle virgole. Non vi sembra più leggibile questa frase, se scritta in modo più semplice? Non dico per forza nel modo in cui l’ho tradotta io, ma seguendo comunque la punteggiatura e la sintassi corretta.
La stessa cosa si ripete in quest’altra frase: “Quando ismael gli sentì poi dire quello che avrebbe detto…”.
In questa ripete il soggetto “Il Freirr uscì dal locale avvolgendosi in una tela marrone fino ai piedi, era una tela di liuta [non era iuta?] leggera che tutti indossavano su Radash, erano comode, e traspiravano abbastanza da tenere fresco il corpo e lontana la sabbia quelle tele. Era felice anche lui il mercante”. Notare ancora l’inutilizzo della punteggiatura.
Qui il soggetto è ripetuto due volte “lui” e “il mercante”, cosa che avrebbe più senso con una virgola, ma stonerebbe lo stesso, perché già sappiamo a chi fa riferimento l’autore grazie alle frasi precedenti.
Quest’altro pezzo mi ha stesa dalle risate: “Ok, era il momento di chiudere ad un prezzo ridicolo! Prese a strappare con la canna allora, di modo da conficcare l’amo talmente all’interno da non farlo scappare più il suo pesce pollo…” in questo caso lo scrittore era confuso se utilizzare la metafora del pesce, che ha portato avanti fino a quel momento parlando di ami da pesca, oppure quella classica del pollo. Perciò non è che ne sceglie una, le mette tutte e due, giustamente. Okay, la smetto, se no mi scappa di nuovo la ridarella.
In conclusione, M1N3rS è stato un titolo impegnativo da leggere, fin troppo e per le ragioni sbagliate, purtroppo. Il fatto che il protagonista diventi un cyber bad boy, verso la fine, cancella ogni singolo tentativo di introspezione nel lettore. Se all’inizio il personaggio era stato caratterizzato abbastanza bene, poi perdiamo totalmente l’empatia nei suoi confronti. Va bene che ha smesso di desiderare di vivere e di pensare ai suoi vecchi sogni, va bene che i naniti l’hanno reso un cyborg praticamente, ma la sua personalità rimane una sua caratteristica importante, il suo amore per la cucina ci è stato presentato come qualcosa di rilevante, cosa che però non è stato per davvero. L’atmosfera fantascientifica e con riferimenti cyberpunk che si può respirare sarebbe anche interessante, se non fosse costellata da migliaia di errori e da capitoli lunghissimi, con pipponi infiniti che distruggono in poche ore tutto il tuo interesse per la storia. Ho desiderato per la prima volta di saltare delle pagine e non penso sia una cosa positiva, soprattutto perché ho letto libri molto meno comprensibili di questo e sono sopravvissuta senza fare la ranocchia.
Ho dato tre stelle su cinque al libro, principalmente perché credo che le basi ci siano, ma che siano state sviluppate male. Sicuramente un potenziale c’è ma, ogni volta che si scrive un libro potenzialmente interessante, si lancia una moneta (per citare Game of Thrones) per capire se sarà sfruttato a dovere, o se sarà distrutto.
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