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"Dream Hunters, Il ponte illusorio" - Analisi e recensione

Aggiornamento: 18 giu 2019



Dream Hunters - Analisi e recensione

Attenzione: in questo testo potreste trovare degli spoiler. Nel caso foste interessati a leggere il libro, vi consiglio di leggere solo le conclusioni in grassetto.

Mi convinse a leggere “Dream Hunters, Il ponte illusorio” una ricca schiera di pubblicità sulla pagina Facebook del libro stesso. Più volte sono stata invitata a immaginarmi una storia dove avrei potuto conoscere personalmente i personaggi delle favole. Da amante del genere fiabesco e di serie che ne traggono ispirazione come “Once Upon a Time”, sono stata attratta da questi post così ben studiati e ho partecipato a un giveaway nella speranza di accaparrarmi una copia firmata dall’autrice. Ho ottenuto così un codice di sconto e ho acquistato il libro a passo sicuro.

Il concept prometteva bene: la diciassettenne Sophie, che abita a Parigi con il padre, si imbatte in un antico libro di favole, dando così inizio a una serie di sogni vividi ambientati nella dimensione fiabesca. Queste allucinazioni divengono sempre più frequenti e influenzano in qualche modo il mondo reale. Sono molto legata al tema dei sogni e alla perdita della bussola tra realtà e finzione, perciò ho trovato interessante la scelta dell’autrice. La cosa più affascinante del sogno è che può succedere qualsiasi cosa, in fondo, anche se quel qualcosa è collegato al nostro inconscio.

Ho iniziato positivamente la lettura, notando la discreta capacità scrittoria della Benothman. Ci viene presentata Sophie, la protagonista, che comprendiamo subito essere una grande appassionata delle fiabe di Perrault. L’autrice sottolinea che la ragazza le conosce addirittura a memoria, grazie al libro regalatole dalla madre quando aveva appena sette anni. Avanzando ho notato della confusione nella narrazione: ad esempio quando Sophie e l’amica Kiki si stanno dirigendo al loro negozio di vestiti usati preferito, ma subito dopo ci viene proposta una scena in cui le due stanno cercando il suddetto negozio su Google Maps. In questo caso ho pensato che potesse essersi trattato di un semplice errore di composizione del paragrafo, più che perdonabile per l’autrice, meno per il correttore di bozze. Durante i primi capitoli scopriamo il nome intero della protagonista, ossia Sophie Edwards Gray. Un nome tutt’altro che francese, ma in questo caso ho chiuso un occhio perché il lettore sa che la ragazza vive in Francia, ma le vere origini del suo nome non sono mai state specificate nel libro. Ho continuato la lettura tranquillamente fino a quando non sono iniziati gli episodi onirici di Sophie.

Nel libro si accenna spesso alla passione di Sophie per le fiabe di Perrault, per questa ragione ho immaginato che i sogni della giovane sarebbero stati ambientati in queste ultime. Eppure, partendo con l’episodio di Cenerentola compaiono già i primi problemi. Sophie incontra una Cenerentola disperata per il ballo, poco prima della comparsa della fata madrina, definita dall’autrice “Smemorina”. Leggendo il nome della fata disneyana mi è sorto un ragionevole dubbio e sono andata a controllare la traduzione italiana della “Cenerentola” di Perrault. Ho scoperto con non poco fastidio che la fata madrina, non è mai stata chiamata in questo modo dallo scrittore francese, ma ho perdonato comunque l’errore della scrittrice e ho continuato. La fata trasforma velocemente la zucca in carrozza, i topi in cavalli, la lucertola in cocchiere e l’abito sgualcito di Cenerentola in un vestito sontuoso, qui non ho trovato troppe differenze da Perrault. Sophie viene invitata a seguire la giovane al ballo. La scena del castello è descritta molto similmente a quella del film Disney. Se nella fiaba di Perrault il principe usciva addirittura dalla sala della festa per aiutare Cenerentola a scendere dalla carrozza («le corse incontro. Le porse la mano per farla smontar di carrozza, e la menò nella sala dove gl'invitati erano raccolti»), qui notiamo che il principe vede la fanciulla solo dopo la sua entrata. Fin qui nulla di grave. Comparirà un certo Tyler, anch’egli dall’inspiegabile nome anglosassone (come quasi tutti i personaggi inventati dall’autrice), che flirterà con Sophie per poi svanire nel nulla per il resto del libro.

Giunge la mezzanotte e le giovani sono costrette ad abbandonare il castello di corsa. Cenerentola perde la famosa scarpetta di vetro. Nella fiaba originale, la prima sera la giovane tornava a casa con calma, mentre al secondo ballo («La sera appresso, le due sorelle andarono al ballo, e Cenerentola pure») con il principe è la distrazione a costringerla a fuggire via, perdendo la scarpetta per la fretta. Nella versione che ci viene data dall’autrice non si parla della fiaba di Perrault, ma di quella della Disney. Un ulteriore sgambetto alla storia viene dato quando il principe ritrova Cenerentola e la scena che ci viene riportata è quella della matrigna che fa lo sgambetto al ciambellano, causando la rottura della scarpa di vetro, ovvero quella del film.

Tutto ciò fa intendere che la Benothman non abbia letto per davvero le fiabe di Perrault prima di scrivere questo libro. Non ci sarebbe stato nulla di male a dire che la protagonista è un’appassionata delle fiabe disneyane. Così l’autrice avrebbe potuto giocare in un campo che già le risultava familiare. Altri dubbi non tardano ad arrivare quando la scrittrice cita la fiaba dei Grimm, affermando che al matrimonio di Cenerentola e del principe, quest’ultimo avrebbe scagliato dei corvi a strappare gli occhi delle sorellastre di lei. Un’inesattezza, dato che ad accecare le sorelle sono delle “colombelle bianche”, che col principe non hanno nulla da spartire. Citando direttamente i fratelli Grimm: «Quando stavano per esser celebrate le nozze, arrivarono le sorellastre, che volevano ingraziarsi Cenerentola e partecipare alla sua fortuna. E mentre gli sposi andavano in chiesa, la maggiore era a destra, la minore a sinistra di Cenerentola; e le colombe — che si erano appollaiate sulle spalle della giovane — cavarono un occhio a ciascuna. Poi, all’uscita, la maggiore era a sinistra, la minore a destra; e le colombe cavarono a ciascuna l’altro occhio. Così furono punite con la cecità di tutta la vita, perché erano state false e malvagie».

Si arriva anche a dire che la protagonista della fiaba ha delle origini povere, quando in realtà il padre di Cenerentola era un ricco “gentiluomo”, altrimenti non avrebbe nemmeno avuto senso che la sua famiglia venisse invitata a palazzo. Sophie leggerà più avanti l’incipit della "Biancaneve" dei fratelli Grimm. Secondo quella che è la logica del libro quindi ci aspetteremmo che la ragazza sogni proprio quella “Biancaneve”, ma alla fine si tornerà sempre al classico disneyano e le speranze di un miglioramento della trama si faranno sempre più nebulose. Lo stesso varrà per l’episodio della “Sirenetta” di Andersen. Ho davvero sperato in una ripresa interessante di quest’ultima fiaba, compreso il finale con la trasformazione della sirena in schiuma di mare. Purtroppo non è stato così.

Avanzando nella narrazione ci si accorge che la storia comincia a farsi intrigante. Per questa ragione è un peccato che l’autrice si sia messa i bastoni tra le ruote da sola. Se non ci fossero state queste imprecisioni, probabilmente avrei apprezzato molto di più la sua storia.

In genere sono molto indulgente sugli errori se una storia è ben riuscita e coerente con sé stessa. Se c’è qualcosa che fatico ad accettare in un libro sono le incongruenze. Perché affermare che la protagonista è un’avida lettrice di Perrault e poi raffigurare delle fiabe che non appartengono a quell’universo? La storia avrebbe quadrato di più se si fosse almeno accennato all’inizio alla passione della protagonista per le fiabe Disney. In questo modo i sogni sarebbero stati un po’ più realistici, perché se sai che la protagonista ama anche i film disneyani, sai che ella potrebbe immaginarsi più facilmente immersa in quegli ambienti, piuttosto che nelle favole perraultiane. Invece, costruito in questo modo, il libro mi fa credere che la Benothman fosse convinta della cieca fedeltà delle fiabe Disney alle storie di Perrault.

Sophie, quando sogna, sembra avere il potere di intuire i problemi delle favole e come risolverli, perciò il lettore è sempre in attesa che si riveli la ragione di questi scombussolamenti. Questo meccanismo dovrebbe creare suspense e quindi favorire la trama, eppure l’unica sensazione che ho provato è stata tanta noia.

Non è mia intenzione incolpare del tutto l’autrice di questi errori, siccome non è lei che ha pubblicato questo libro senza i dovuti accorgimenti. Mi sorprende invece che l’editing sia stato così poco accurato. Trovo che questa trama avesse un grande potenziale e che sia un peccato averla rovinata a causa della confusione della sua creatrice.

Unica ancora di salvezza del libro è la relazione tra Sophie e Alexander, che dona respiro al turbine di “what the fuck?” scatenato dagli episodi fiabeschi. Personalmente ho trovato i personaggi della Benothman molto piatti, eppure non posso negare che la storia tra la protagonista e il suo principe mi sia piaciuta. Questi due sono gli unici personaggi con un minimo di caratterizzazione che non si fermi all’aspetto fisico e probabilmente sono anche i personaggi preferiti della Benothman, perché nel libro vengono dedicati svariati capitoli alla loro storia d’amore. Capitoli che però staccano molto dalla trama principale, siccome iniziano a metà libro e sono posti l’uno di seguito all’altro. Questi pochi capitoli sembrano essere stati studiati addirittura meglio del resto della storia. Prima di iniziarli desideravo ardentemente smettere di leggere, poi ho iniziato a provare interesse per le vicende tra Alexander e Sophie e sono rimasta incollata al libro. Nella scena della confessione mi è sembrato di stare rileggendo la mia parte preferita di “Outlander” e ammetto di esserne stata felice.

Si lascia quindi nuovamente spazio alla trama e al mondo creato dalla Benothman. L’autrice a questo punto sembra aver ingranato, e con lei la narrazione. Negli ultimi capitoli si ha una trasformazione notevole, passando dalla lentezza dei capitoli centrali ad una serie di frettolosi eventi che hanno catturato a pieno la mia attenzione. Il finale amaro mi ha sorpresa in positivo e ha superato di gran lunga le mie aspettative. Per questa ragione sono convinta che con questo libro si potesse fare di meglio: se l'autrice all'inizio era confusa, verso la fine si è svegliata, decisa a mostrarci quella che è la splendida vera essenza del suo libro. L'epilogo è uno stratagemma molto interessante per invogliare a inoltrarsi nella lettura del secondo capitolo e l'ho apprezzato molto, tanto che quasi sono stata tentata a farlo anche io. Poi mi sono ricordata gli strafalcioni iniziali e ho capito che forse non faceva per me.

In conclusione, “Dream Hunters, Il ponte illusorio” è un libro per ragazzi nato da un’idea fantasiosa e particolare, ma sconvolto da una trama trattata con confusione e con importanti imprecisioni agli inizi, soprattutto per quel che riguarda gli episodi favolistici. Le fiabe di Perroult sono una cosa, quelle disneyane un’altra. La Benothman scrive bene, ma ancora si possono notare nella caratterizzazione dei suoi personaggi alcuni stilemi da young adult di serie B, come quel gusto per un’inarrivabile bellezza fisica, il colore degli occhi perennemente chiaro nonostante si stia in Francia (non accennando agli occhi di Alexander che sono il più grande mistero del libro) e quella tendenza acerba a dare nomi anglosassoni a personaggi che inglesi non dovrebbero essere. Leggendolo non ho potuto fare a meno di pensare a “Shadow Hunters” e alla “Trilogia delle Gemme”. Guardando la protagonista Sophie vedevo Clary, una ragazza coraggiosa e un po’ sciocca che si caccia sempre nei guai. Alexander invece mi riportava alla mente Gideon, un giovane virtuoso e dal carattere indecifrabile. L’unica cosa che mi ha interessata è stata la storia romantica della protagonista e del suo principe, portata avanti egregiamente dall'autrice, fino a giungere a un finale quasi commovente, che mi ha davvero fatto dubitare del mio giudizio. L’argomento centrale però dovevano essere le fiabe tradizionali e su quello la Benothman si doveva concentrare di più. È anche vero che la scrittrice avrà tempo a disposizione per migliorare questa saga, e spero in cuor mio che lo faccia, partendo questa volta col piede giusto. Prima della lettura avevo già in mente di comprare anche il seguito, “Dream Hunters, Il veliero delle anime”, ma non credo lo farò più. Quello che questo libro mi ha lasciato è solo confusione, amarezza e voglia di bere — del tè con i biscotti — per dimenticare.

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