Eccoci ad una nuova recensione, questa volta dall’impronta giallastra. Non di un giallo acceso, come vi aspettereste, ma un giallo piuttosto tenue. Ho letto il libro di Roberto Vallerignani, “Bentornati a Villa Paradiso”: un giallo che tratta dell’omicidio di due amanti, in particolare le indagini si concentrano su quello della giovane donna, molto bella e i cui comportamenti scostanti interessano maggiormente gli inquirenti. Innanzitutto ho notato la tendenza di Vallerignani a concentrarsi sui dialoghi, un tipo di scrittura molto teatrale, e su questi ultimi devo dire che l’autore sembra averci messo tutto sé stesso. Il realismo delle interazioni tra i personaggi è quasi impressionante e sembra davvero di vedere qualcuno parlare su di un palcoscenico. La storia è volutamente diversa dal normale giallo e si incentra maggiormente sulla sfera privata dei personaggi. Ci sono state delle scene che mi hanno colpita: come quella dell’ispettore Antonelli alle prese con un’impiegata dell’INPS, molto divertente, e una delle scene finali in cui si vuole mettere in luce un lato delle indagini che in Italia è sempre stato mistificato, ovvero viene data ufficialmente la colpa a uomini di etnia differente per nascondere i veri colpevoli del duplice omicidio. Particolare il fatto che alla fine l’indagine sia risolta dall’ispettore, ma non diventi di dominio pubblico e il colpevole non venga arrestato. Mi è piaciuto come l’autore abbia descritto la vita stentorea, il travaglio di una persona diventata disabile e, allo stesso tempo, quello delle persone che se ne prendono cura ogni giorno ed empatizzano con questa a tal punto da impazzire. Si tratta di un giallo particolare, che consiglio di leggere a tutti per farsene un’idea, perché, esattamente come io l’ho trovato pesante da leggere, magari qualcun altro potrebbe smentirmi e trovarlo un libro interessante. Dopo aver specificato questo, non perderò altro tempo e farò un’analisi approfondita del libro per spiegarvi per quale ragione, nonostante mi abbia colpita, non mi sia piaciuto un granché.
Analisi (attenzione SPOILER)
“Bentornati a Villa Paradiso” è un libro molto lento da leggere, ma per i motivi sbagliati. Non aspettatevi un giallo veloce o ricco di investigazione. Vallerignani si è concentrato molto sulla caratterizzazione dei personaggi principali e sulla loro vita privata, tralasciando un po’ l’aspetto delle indagini. Tant’è che troveremo più descrizioni del bollettino meteo, dei sogni dei personaggi, di conversazioni private, di pranzi e di sequenze di azioni inutili ai fini della narrazione che piuttosto pezzi dedicati alla ricerca dell’omicida. Ci sono troppe divagazioni. In genere sono un’apprezzatrice di quei libri nei quali i protagonisti vengono studiati e caratterizzati nel dettaglio: ho amato “L’ombra del vento”, che si concentra moltissimo sui personaggi (non pochi) e riesce a gestirli in modo eccellente, rendendo comunque l’obiettivo principale del protagonista sempre vivo nella mente del lettore e incuriosendolo. L’errore che ha fatto l’autore è che, in un libro che dovrebbe essere un giallo, si è impegnato di più nella costruzione dei personaggi che nello sviluppo dell’indagine. Arriviamo a metà libro che ancora non si sa nulla della fantomatica Villa Paradiso, a parte che è un ricovero per disabili, una cosa che si intuisce piuttosto tardi. Il meccanismo con cui il libro crea suspense è troppo intricato: a fine capitolo compaiono dei pezzi in corsivo narrati in prima persona da un soggetto che già all’inizio si intuisce essere in qualche modo implicato nell’assassinio. Ho apprezzato, come scritto sopra, il modo in cui Vallerignani ha descritto il tormento di Luca, ospite della Villa, diventato disabile a causa di un incidente. Secondo me, sono proprio le ultime pagine del libro il pezzo forte. La descrizione della pena, della rabbia, della frustrazione, dell’odio che prova questo personaggio. L’atmosfera di amarezza resa dal libro poteva essere qualcosa di sublime che, almeno secondo me, avrebbe portato il libro a tutt’altro livello se i ritmi della narrazione fossero stati migliori. Si vede che Vallerignani ha una grande proprietà di linguaggio e una forte maturità stilistica, proprio per questo mi è dispiaciuto che il libro non fosse migliore nella sua interezza. Il problema si ritrova proprio nella definizione di “giallo”, perché fin da quando ci viene presentato il personaggio di Luca noi già intuiamo che sia implicato negli omicidi, perciò una volta arrivati a metà libro la noia regna sovrana. L’interesse viene giusto ravvivato quando finalmente ricominciano gli interrogatori e veniamo rinviati a quell’ “inferno” di Villa Paradiso.
Volendo immaginare il bicchiere mezzo pieno, potremmo vedere questa lentezza come una rappresentazione scritta di quella che è vista come la tipica indagine italiana: ovvero, troviamo dei personaggi svogliati il cui primo scopo è andare in vacanza, o nel caso di Antonelli in pensione, che però sono costretti a lavorare a un caso che non potranno mai risolvere per davvero. Personaggi concentrati sulla loro vita privata ai quali non importa davvero delle vittime, infatti Antonelli empatizza con la ragazza unicamente perché gli ricorda sua figlia Nadia. Un menefreghismo che assume forma quando leggiamo le tristi parole di Luca alla fine del libro.
L’ispettore Antonelli, il primo protagonista della storia, è un uomo anziano, con dei problemi di comunicazione e ingenuo. “Ingenuo?” vi chiederete voi. Ebbene sì. Un uomo che svolge la sua professione da anni riesce ad essere ingenuo e a balbettare nelle conversazioni più semplici. Vi trascrivo due esempi.
(In questa scena Antonelli sta ponendo delle domande all’ingegner Tucci, uomo importante che ha avuto una relazione con la vittima. I pensieri sono scritti in corsivo e in genere sono quelli del personaggio protagonista del pezzo)
- Abbiamo riscontrato…
Quelle maledette parole! Metterle una dietro l’altra non era mica così facile.
- Abbiamo… sì, abbiamo scoperto…
Cosa diavolo hai scoperto, idiota, l’America?
- Abbiamo accertato…
- Che avevo una relazione con la ragazza.
L’ispettore sbiancò. Pensò seriamente di svenire. Anzi, desiderò ardentemente di svenire. (Sul serio?)
(Antonelli sta conversando con il professor Meucci, altro indagato)
- Allora estenda i ringraziamenti a tutto il suo staff. Ma, mi dica, qual era la domanda che voleva pormi?
L’ispettore Antonelli meditò per qualche secondo. Il solito problema della ricerca delle parole.
- Nella sua lunga esperienza, - esordì infine, - le è mai capitato di… sì, insomma, di… voglio dire, un paziente che ha avuto un… cioè, le è mai capitato che qualcuno guarisse da un grave trauma che l’aveva portato a stabilirsi qua? (Tutto qua quello che dovevi dire? Sembrava essere qualcosa di molto imbarazzante)
Il professor Meucci rise sonoramente, batté una mano sul tavolo come a dire che quella era grossa per davvero.
La cosa che attutisce la mancanza di spina dorsale dell’ispettore è proprio l’autoironia con cui Vallerignani smorza questo comportamento così bizzarro. L’autore stesso dopotutto ha scelto di scrivere un personaggio che fosse l’antitesi del super-uomo descritto in genere nei libri gialli, o nelle serie poliziesche, rendendo la situazione piuttosto comica. Che poi il personaggio sia riuscito o meno, questo dipende dai punti di vista.
La pesantezza del libro è dovuta anche a diversi piccoli dettagli. I dialoghi a volte sono confusionari e non si capisce esattamente se l’azione che segue sia di chi ha appena parlato, oppure dell’ascoltatore, perché a volte non viene specificato. All’inizio non pensavo che potesse diventare un problema nella lettura, perché si poteva quasi sempre intuire chi fosse ad agire, o perlomeno immaginarlo. Però in un testo in prosa è rischioso non specificare il soggetto quando hai una frase fraintendibile. A volte mi è successo di confondere l’interlocutore e di leggere i dialoghi in modo scorretto. L’autore ha dato davvero molto spazio ai dialoghi, forse troppo, tant’è che i pezzi in prosa a volte sembrano dei flussi di pensiero dei personaggi (con tanto di esclamazioni e domande indirette). Così si perde il distacco dai personaggi e, anche se ciò dovrebbe farci immedesimare in essi, alla fine rende tutto il resto ancora più confuso.
Non esiste una vera e propria divisione del testo in capitoli, dei capitoletti ci sono ma sparsi qua e là senza una vera logica, e manca anche l’indice. Il testo è eccessivamente frammentato, ogni pezzo è diviso da tre asterischi. Vi sono dei continui cambi di punto di vista (a metà libro aumenta la frequenza a ogni pagina) e i personaggi per i quali lo abbiamo purtroppo non sono solo i protagonisti. A volte sono anche personaggi che non vengono specificati immediatamente nel testo e che, nel mio caso, non sono riuscita a comprendere chi fossero nemmeno nei paragrafi seguenti, perché non vengono nominati o descritti fisicamente. Lo stratagemma di nascondere un nome funziona quando il personaggio senza nome è uno solo, oppure quando compare subito dopo. In questo caso ce ne sono diversi e le loro storie sono disperse nel mare di momenti, perlopiù statici, che compongono questo libro. Si dà davvero troppa importanza a dei personaggi del tutto secondari nella storia. La frammentazione dei punti di vista risulta più leggibile quando i personaggi osservatori sono in minor numero (soprattutto se si tratta unicamente dei protagonisti), altrimenti si rischia di fare confusione. Ci sono scene di interrogatori in cui l’osservatore è l’interrogato, quindi noi possiamo leggere i suoi pensieri, che invece di creare suspense causano un’ulteriore confusione. Ci sono anche problemi a comprendere dove si svolgano le varie scene e questo è una delle mancanze peggiori. Spesso si ha la sensazione che i personaggi stiano su un palcoscenico vuoto, accompagnati solamente da qualche elemento scenografico: una poltrona, un tavolino, una sedia a rotelle, e così via.
In conclusione, ogni pagina che leggevo speravo sempre più che le indagini andassero avanti in questo libro, o che si scoprisse perlomeno qualcosa di rilevante. Non mi importa della conversazione che hanno l’ispettore Antonelli e Baldi a tavola, io voglio conoscere i fatti rilevanti sul caso. La lentezza delle indagini sarà anche realistica, ma scritta in questo modo nuoce alla narrazione, perché tra una divagazione e l’altra finisci per perderti e non capire più nulla di quello che stai leggendo, a meno che tu non abbia una concentrazione ferrea. Il bello di un giallo è proprio che il lettore viene messo al corrente delle indagini e viene guidato alla scoperta del colpevole. All’inizio ero convinta che il vero protagonista fosse il colpevole. Sarebbe stata una soluzione molto interessante. Invece i protagonisti di questo libro non sono ben definiti, capiamo che Antonelli lo è unicamente perché il più dei momenti descritti sono suoi e perché il suo nome è scritto sul retro di copertina. Allo stesso modo però anche Luca è un protagonista, anche se è descritto narrativamente in modo diverso.
Nel mio caso personale ho provato una profonda frustrazione all’idea che l’assassino non sia stato emarginato. Il finale mi è piaciuto anche per via di questo forte fastidio: sembra costruito per farti provare pena per l’assassino, ma allo stesso tempo fartelo odiare. Le parole finali “L’ispettore Antonelli doveva ancora perdonarsi gli errori e le numerose violazioni alla deontologia. Si era comportato da schifo, aveva lasciato libero un assassino. / Libero?” mi hanno lasciata spiazzata, perché sì, l’ispettore ha lasciato libero un assassino, un assassino pur sempre in grado di muoversi e potenzialmente pericoloso per altre persone. Queste ultime parole hanno distrutto la già scarsa compassione che provavo per il colpevole. Se questa persona è in grado di muoversi e addirittura di ferire con forza qualcun altro, allora va messo in una struttura specializzata, non lasciato in un posto in cui potrà aggredire qualcun altro per sfogare le proprie pulsioni, o i propri dolori. Non importa quanto la Villa possa essere un inferno. Chi può dire che non arriverà un giorno un’altra persona come Annarita (la vittima) e che non ferirà involontariamente i suoi sentimenti? Il menefreghismo da parte dell’ispettore è imbarazzante. Non so se fosse questo l’effetto che voleva ottenere l’autore. Se è così allora il finale gli è riuscito perfettamente e mi ha coinvolta molto più che tutto il resto del libro. Magari ci fossero stati più pezzi coinvolgenti come questo!