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Il cuore che abito, di Attilio A. Ortolano - Analisi e Recensione

Aggiornamento: 23 lug 2019



Mi lasciai conquistare da questo romanzo quando lessi il genere: “fantascienza”. È un genere che mi attrae, nonostante non sempre mi piaccia. Inoltre la trama sembrava interessante e avvincente, un’avventura da esplorare. Ve la trascrivo qui:

2025. Ludovico è un imprenditore e filantropo italiano, presidente della HeartH, Soundlife Corporation, FFW (Food for world), fondatore del movimento dell'Human Welfare, tutte con un filo conduttore comune: aiutare le persone. Una notte è vittima di un incidente autostradale. La sua anima, al momento del distacco, viene attratta da un sistema ipertecnologico americano che cattura le masse fotoniche degli umani al momento del decesso. L'operazione è denominata Double Soul – Doppia Anima, ideata dal dottor Willis, ex collaboratore delle forze operative speciali contro il bioterrorismo dell'epoca. Al momento dell'arrivo della massa fotonica/anima nel laboratorio, essa viene utilizzata in un altro corpo, che è una sorta di clone. Ludovico si risveglia a New York in un corpo nuovo, e non ricorda più nulla. Inizia così una nuova vita e incontra molte persone che alla fine si mostreranno come una rete non casuale, un disegno dell'universo fatto per lui.

Come potete leggere voi stessi, la trama prometteva bene. Sembra davvero un bel romanzo di fantascienza, perché alla base c’è un’idea interessante. Il problema qual è? Semplice: la maggior parte di questa sinossi compone solo il 3% del romanzo. Il vero romanzo sta in questa frase: “Ludovico… inizia così una nuova vita e incontra molte persone che alla fine si mostreranno come una rete non casuale, un disegno dell’universo fatto per lui.”. Praticamente ciò che è scritto nella sinossi è un enorme spoiler.

Mi è dispiaciuto molto quando ho scoperto che il libro predica bene, ma razzola male. Ne ho iniziato la lettura molto emozionata dalla sinossi e probabilmente questo ha contribuito al mio giudizio finale. Non giudico lo stile dell’autore, perché dalla sua Bio comunque si evince che “incentra la sua scrittura sulle emozioni e cerca in ogni individuo il lato irripetibile. Con le sue parole vuole ricercare l’eternità del momento, le prospettive, i sogni e  la capacità di comunicare a cui ognuno appartiene.”. Ortolano è uno scrittore capace, anche se la sua prosa esageratamente aulica non mi ha fatta impazzire. Avevo già intuito che il libro si sarebbe concentrato molto sulle emozioni dei personaggi. Allora perché non mi è piaciuto? Scopriamolo.


ANALISI (òcio agli SPOILER)

Il libro inizia con il protagonista, Ludovico (di cui non sappiamo nulla), che fa un incidente e per qualche ragione si risveglia in un ospedale di New York. Ovviamente, chiunque abbia letto la sinossi sa già tutto, perciò io tengo in conto solo ciò che veniamo a sapere direttamente dal romanzo. La sinossi è fatta apposta per farti cadere in una trappola.

Già da questo punto cominciamo a notare qualcosa di strano nel nostro uomo, ovvero che non è terrorizzato, come dovrebbe, non prova sentimenti “umani”. Appena l’infermiera gli dice che può andare via quando gli pare dal suo ricovero, lui lo fa. Nonostante non sia in un luogo famigliare, non tempesta di domande il personale dell’ospedale. Semplicemente, se ne va. A questo punto ho pensato di essermi ritrovata in un sogno, probabilmente dello stesso protagonista. Uscito dalla struttura, egli incontra un taxista che, dopo una breve chiacchierata, scoprendo che il nostro uomo è senza soldi, gli offre un passaggio per un hotel. Questo taxista ha già avuto tra i propri passeggeri un uomo che gli ha parlato di scienziati e di trasferimenti d’anima da un corpo all’altro, perciò non si sorprende molto di ciò che gli racconta Ludovico. A voi sembra normale che una persona che si sente dire una cosa così stupida non reagisca prendendosi gioco di Ludovico, ignorandolo perché solo un folle e senza il becco di un quattrino, tra l’altro? Il taxista non sapeva niente, a quel che ho capito, degli esperimenti che alcuni scienziati stavano per davvero svolgendo, a parte ciò che era scaturito dalle parole del suo precedente passeggero, ma prende lo stesso per buono quello che gli dice il protagonista.

Ludovico raggiunge l’hotel, in cui per qualche ragione ha una camera sua. Il bello è che non si chiede nemmeno perché abbia una camera in cui dormire, nonostante sia squattrinato. Quindi incontra un certo Filippo (inizialmente non ci viene spiegato chi sia), un uomo che per qualche assurda ragione intraprende un discorso con lui e finisce per parlare di questo famigerato complotto: Ludovico ha un microchip sul cuore, che quello che chiama “il potere centrale” userebbe per controllarlo. Le anime vengono trasferite in corpi geneticamente uguali, dei cloni, e questi corpi possono essere spenti da un momento all’altro. Solo delle forti emozioni potranno intaccare il sistema del microchip, spegnendolo.

Il protagonista, scoprendo quindi che è un clone e che la sua anima apparteneva in precedenza a un altro corpo, quale reazione pensate che avrà?

A) Cercare di scoprire chi fosse in origine (visto che non ricorda nulla);

B) Farsi i cavoli suoi;

Ovviamente la B è la risposta corretta, la accendiamo? D’accordo, la smetto con le domande e vado avanti, che qui si fa tardi altrimenti.


Ve la faccio breve, d’ora in avanti ciò che succederà non dipenderà mai dal protagonista. Ludovico si farà accompagnare in Italia da Filippo; troverà un lavoro senza nemmeno chiedere, grazie al lupo di mare Ernesto, che un filosofo gli fa un baffo per come parla forbito; incontrerà Claudia, la sua futura moglie, proprio grazie a quest’ultimo e conoscerà una serie di personaggi secondari.

In sostanza, Ludovico è un personaggio piatto, che si fa trascinare dagli eventi. Non ha desideri, gli altri gli dicono quali sono. In questo libro non esistono personaggi interessanti. L’unica cosa che ti spinge a leggerlo è la speranza che prima o poi si scopra qualcosa in più delle condizioni di Ludovico. Maledetta curiosità.

Le emozioni dei personaggi, che dovrebbero trasparire, a causa di una prosa particolarmente artificiosa paiono finte. Vi trascrivo un esempio, che mi ha fatta sbellicare, per farvi capire come il modo di parlare dei personaggi sia totalmente innaturale:

(Lorenzo, il figlio di Claudia e Ludovico sta piangendo perché la mamma dovrà tornare in ospedale per una terapia.)

«Verrai a Parigi con me e papà?»

«Sì, verrò. Quando stai piangendo stai facendo solo scorrere le tue emozioni dal cuore agli occhi» gli disse sorridendo «Ora che hai gli occhi aperti, non vedi che è tutto circondato da aloni bianchi?»

«Cosa sono gli aloni?»

«Il contorno. Adesso non mi vedi così?»

«Sì.»

«In questi momenti devi stare attento. Sei nudo e puro. Sei come nel momento in cui sei nato. Sei nato piangendo, te lo ricordi?» (Cosa gliene frega a un bambino di sentire queste divagazioni?)

«No.»

«Tutti nasciamo così. Per un periodo non vediamo tutto. Vediamo come tu vedi adesso» (Nessuno parlerebbe così ad un bambino, è assurdo.)

«Tra poco arriva un mio amico, posso giocare con lui?» (Si è già dimenticato che stava piangendo?)

Ludovico capiva cosa stava cercando di dire Claudia a Lorenzo.

Gli aloni intorno agli occhi sono pieni di energia. L’essenziale si rivela con uno sguardo distratto, proprio come quando si piange. I bambini vedono sempre quell’energia ma poi la dimenticano. A volte si sentono fantasticare e pronunciare parole non articolate, muovono le manine in modi strambi. Sono a contatto con l’energia di cui parlava Claudia. Il bambino può vederla perché non è inquinato dal mondo.

Tutto il libro è scritto così. Capirete che all’inizio ci si può fare l’abitudine, aspettandosi una trama avvincente, ma quando si scopre che la trama è solo la vita noiosa e surreale del protagonista, allora si perde la voglia di continuare a leggere. Purtroppo per me, io i libri li leggo sempre fino in fondo.

In questa atmosfera di finzione, quasi onirica sotto certi aspetti, l’autore tira in ballo tanti argomenti, perlopiù sentimenti universali. Il problema è che vuole parlare di troppe cose tutte insieme, quindi non parlando di nulla, alla fine. Il tutto e il niente. Ludovico, in sostanza, è un uomo solo, che si scontra con persone che sfruttano la sua solitudine per controllarlo, e che possono essere battute unicamente con la forza dell’amore.

Si susseguono vite e punti di vista di personaggi secondari dei quali non ci importa niente, perché per noi sono sconosciuti (anche se per il protagonista non lo sono). Il lettore fa fatica ad andare avanti senza annoiarsi per via della staticità del racconto. Non c’è nulla che ci faccia in qualche modo affezionare ai personaggi o allo stesso protagonista. Il protagonista si lascia trascinare come un bambolotto. Lui stesso si definisce uno “spaventapasseri di gomma”, in una metafora certamente strana e usata al momento sbagliato: uno spaventapasseri non è di gomma, uno spaventapasseri dovrebbe spaventare, eppure questa sua funzione non c’entra nulla con il contesto, potrebbe essere un fantoccio che viene mosso a piacimento, ma cosa c’entra il fatto che sia di gomma? Il testo è ricco di metafore, a volte campate in aria. Un altro esempio è “Claudia sorrise malinconica, come un bambino infermo a cui un compagno parli della sua ultima macchina radiocomandata”. Il motivo di questa metafora non lo capirò mai. Bastava dire “Claudia sorrise malinconica” e la frase sarebbe stata perfetta. Ma no, a quanto pare un testo senza metafore è un testo inguardabile. L’autore deve aver frainteso il significato di melius abundare quam deficere. In realtà ci sono anche metafore carine, come: “L’uomo che vuole volare alto è come una piantina in un vaso. Mentre sale, incontra il vento e si piega. Crede di non farcela più. Allora ricorda la parte importante: mettere grandi e profonde radici”. Il problema è che spesso queste metafore sono eccessivamente lunghe e tolgono spazio a ciò che davvero ci importa, ovvero lo svolgimento della trama.

L’unico elemento fantascientifico del libro è la questione dimensionale e del trasferimento dell’anima da un corpo all’altro. Cose che vedremo per davvero solo alla fine del libro e che comunque ci verranno smentite. Perché (e qui SPOILERONE) il vero Ludovico non è morto, ma è in coma.

Da questo cosa evinciamo? Che tutto quello che è avvenuto nel libro potrebbe essere un trip mentale del protagonista comatoso. Qui si perde totalmente la questione fantascientifica e si passa ad una più metafisica. Non sono d’accordo sul genere che è stato assegnato al libro. Anche se non viene specificato se l’anima del protagonista sia tornata al suo vecchio corpo (una volta morto quello nuovo), oppure se semplicemente fosse tutto un sogno. Il fatto che l’autore ci lasci con il dubbio cambia completamente il genere del romanzo. Posso anche aver frainteso qualcosa del finale, perciò se l’autore vorrà chiarire i miei dubbi ne sarò più che felice.


In conclusione, questo libro è stato scritto con una grande delicatezza poetica, ma su toni eccessivamente surreali per essere considerato romanzo di fantascienza, manca troppo di verosimiglianza. Vorrei poter dire che l’autore sia riuscito a rendere le sensazioni e le emozioni dei personaggi, ma non è così, purtroppo. L’autore non è riuscito a caratterizzare abbastanza bene nemmeno il suo protagonista, di cui conosceremo le origini e il vero carattere solo nelle ultime pagine del libro. I personaggi sono troppo semplici, hanno i loro problemi, certo, ma questi rimbalzano sopra di loro. L’unico momento che fa provare un po’ di empatia è quello in cui Claudia confessa a Ludovico di dover fare una terapia a Roma. Per il resto, il libro è un ammasso di eventi e di parole dette che non trasmette nulla al lettore, se non tante metafore e noia. Ortolano probabilmente ha calibrato male il ritmo della narrazione, perché se avesse lasciato un po’ di spazio in più alla questione del microchip, o avesse invogliato il suo protagonista a fare qualcosa, piuttosto che far niente, forse avrei letto un libro più interessante.

Non credo sia un libro per tutti. Ci vuole una grande pazienza per finirlo, ma non dico che se non è piaciuto a me non possa piacere a qualcun altro. Sono sicura che ci siano dei lettori, magari amanti della poesia, che lo potrebbero apprezzare.

Personalmente sono rimasta molto delusa dall’illusione che questo fosse un romanzo di fantascienza, quando in realtà di questo genere non ho trovato quasi nulla. Sicuro, si parla di dimensioni parallele, di cloni e trasferimenti d’anima, ma tutto ciò è raccontato con una lentezza allucinante. Tutti i personaggi che Ludovico incontra sono collegati tra di loro, addirittura fanno parte della stessa famiglia. Questa cosa va oltre al surreale, io volo (citando Matteo Fumagalli). Si entra in una dimensione onirica, tant’è che alla fine mi sono convinta che fosse tutto un sogno del protagonista, perché altrimenti non sarei riuscita a darmi una spiegazione convincente.

La trama si smuove dal torpore solo a pagina 115 (su 164 pagine), quando la famiglia di Ludovico fa una brutta fine nell’attentato a Parigi. È come se Ortolano avesse voluto scrivere un grande trattato sull’amore, non un romanzo. Per tutto il libro non facevo che ripetermi “Ma che mi frega della vita di questo qui, o quello lì, io voglio sapere di più su Ludovico”. Le informazioni che cercavo le ho avute a pagina 125 e condensate, tra l’altro, in uno spiegone.

Ho addirittura considerato che l’autore volesse in qualche modo raffigurare l’ineluttabilità della vita e l’accettazione della propria condizione nonostante tutto, ma non avrebbe dovuto spacciarmi questo romanzo per qualcosa che non è. Sarebbe bastato aggiungere ai generi “romanzo metafisico”, fare meno spoiler nella sinossi e dare un po’ più di spazio alla condizione del protagonista e alla sua volontà, o anche necessità, di scoprire qualcosa sul suo passato (un protagonista che non ha un obiettivo in un romanzo non è degno di esserne il protagonista). La base c’era per un bel libro, ma il modo in cui è stato scritto lo ha rovinato definitivamente.



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